Da Mosca a Kaliningrad, il torneo russo visto dall’Italia che resta a casa. Tante storie nella storia: paradossi, tele-visioni, stranezze e cinismi assortiti. Perché chi non c’è ha sempre torto, ma può divertirsi lo stesso senza prendersi troppo sul serio.

Io tifo Nigeria per metterlo in quel posto a Salvini. Io tifo Costa Rica perché la mia attrice preferita è Gianina Facio. Io tifo Arabia Saudita perché così cala il prezzo della benzina. Io sto con la Francia sempre per darlo in c. a Salvini. Io tifo Corea del Sud per dare una lezione a quel bullo di Kim e visto che è lì in giro anche a Trump. Io tifo Svezia perché il mio ex è di Malmoe. Dopo un giorno di Russia 2018 non ne possiamo più. La gara a chi è più anticonformista nel tifare contro le grandi squadre nazionali continua. Esercizio retorico dei più scontati. Terzomondismo d’accatto. Rivoluzione (russa) mentre si sfoglia l’album Panini. Giaculatoria da juventini veltroniani pentiti.

Tanto i mondiali di calcio li vincono sempre le grandi squadre. Punto. Soyez realiste demandez l’impossibile, ma non durante i mondiali. Non è che un Giappone qualsiasi si inventa pericolo per il Brasile. Non basta chiamare l’allenatore esotico e da brocchi scarpari si diventa fatine e fantasisti. Se nasci Al-Faraj magari vai in giro in Ferrari ma la coppa del mondo la sollevi durante una polluzione notturna. Germania, Brasile, Argentina, Italia. Francia se va bene. Uruguay quando ancora mio nonno portava le braghe corte. Inghilterra con il compiacente aiuto di un guardialinee russo. Vincono sempre loro e riga. Eppure il radicalismo chic della pesca tra i simpatici giocatori tutto cuore e poca tecnica non si ferma. Se si vuole un aperitivo equo e solidale con bianchetto frizzante biologico con fermentazione sui lieviti a Russia 2018 fa al caso tuo l’Islanda. Niente male anche le nazionali centroamericane. Il Messico ad esempio. Luogo di mare e sole, terra ricca di scorribande di grandi guerriglieri che ancora fanno vibrare i ricordi di quando si andava in piazza a manifestare per qualcosa.

Ancora più “in” quest’anno è tifare Australia. Perché qui si mischia il lato volgare e spaccone dei dispersi isolani alla Crocodile Dundee con il fascino incontaminato delle lande da conquista turistica. E poi qualche aborigeno lo si fa sempre contento. Fateci caso però: tra le squadre che non vinceranno mai il Mondiale, ce ne sono alcune relegate nel ghetto dell’oblio eterno. Brocchi pietosi ma storie politiche impresentabili. Per i cattivissimi serbi, ad esempio, il radical alternativo non tiferà mai. Mentre la sgarrupata squadra iraniana è buona e cara ma un tifo esagitato per quei governanti ancora alle prese con l’ayatollah meglio non esibirlo in pubblico. Che è un po’ come se qualcuno non tifasse Italia perché in tribuna, in braccio a Putin, ci sono Salvini, Di Maio e Conte che, per inciso, a un gol di Balotelli magari reclamerebbero un fuorigioco. Anche se il tifo più glam è quello per le nazionali africane. L’apoteosi: un grande giornalista sportivo nei giorni scorsi ha detto “tifo sempre per una squadra africana, quest’anno tifo Senegal”. Sembra che la delegazione del Perù l’abbia presa molto a male.

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