La voce quasi rotta dal pianto di Mohammed Abou-Treika chiedeva aiuto. Era il primo febbraio 2012. Al telefono l’allora star del calcio mondiale chiamava i soccorsi. Un tifoso gli era appena morto davanti: i calciatori dell’Al-Ahly, la squadra in cui militava, erano rinchiusi negli spogliatoi dello stadio di Port Said. Subito dopo la partita erano scoppiati degli scontri. Le luci si erano spente, la barriera di separazione delle due tifoserie si era spalancata. Il bilancio di quella serata fu tragico: 74 ultras dell’Al-Ahly rimasero uccisi. Per l’opinione pubblica di allora fu un oltraggio alla rivoluzione, la rivolta che l’anno prima depose il dittatore Hosni Mubarak. La polizia, questa l’accusa, avrebbe agevolato gli scontri perché la tifoseria dell’Al-Ahly era in prima linea a proteggere i manifestanti di Piazza Tahrir così come gli ultrà dell’altra grande squadra cairota, i White Knights di Zamalek.

Abou-Treika non dimenticherà mai quella tragedia e denuncerà diverse volte le violazioni dei diritti umani perpetrate dall’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi, che all’epoca della strage di Port Said dirigeva l’intelligence militare. Sono passati sei anni, il Paese ha conosciuto nel frattempo il colpo di stato del 2013, e quel clima sociale nel mondo del pallone egiziano è ormai lontanissimo dopo la repressione del regime, con Sisi che ha rinnovato il suo mandato nelle elezioni dello scorso marzo. La nazionale egiziana sta per partecipare ai mondiali, una presenza storica, e il presidente Sisi ha mostrato di voler muovere a suo favore la passione popolare scatenata dall’evento incontrando sabato scorso i giocatori prima della loro partenza per la Russia.

“Avete un responsabilità sulle spalle”, ha detto il capo di stato egiziano, sottolineando che i giocatori dovranno mostrare al mondo la disciplina che contraddistingue la lunga e gloriosa storia del Paese. Per Sisi, dunque, la presenza della sua nazionale è un volano incredibile per la sua credibilità politica sia interna sia internazionale. Ma ad agevolarlo è anche l’allineamento mostrato negli ultimi tempi dal calcio egiziano rispetto alle istanze del regime. Abo Treika si è ritirato e poco più di un anno fa è stato inserito nella lista nera dei terroristi (l’accusa è quella di aver finanziato il movimento islamista dei Fratelli Musulmani, nemico numero uno dei militari); il suo posto è stato preso da Mohammed Salah, l’attaccante del Liverpool che non ha mai fatto mistero del suo sostegno a Sisi tanto da aver devoluto 282.000 dollari a Taya Masr, una fondazione gestita dallo stato che è uno degli strumenti di propaganda del presidente.

Salah, in corsa per il Pallone d’oro, è la stella della squadra e l’idolo dei tifosi. Il suo volto si trova ovunque, sui muri della città, nelle lanterne del mese di Ramadan (che terminerà il 14 giugno) e persino su molte schede elettorali delle ultime elezioni-farsa presidenziali (i candidati erano solo due, Sisi e un suo sostenitore). La figura di Salah è celebrata quotidianamente sui giornali di regime che ormai compongono la quasi totalità del panorama mediatico egiziano alimentando la retorica di un Egitto in cui tutti possono avere successo, anche se si nasce nella povera regione del Delta del Nilo, proprio come Mohammed Salah. Il suo infortunio durante la finale di Champions League ha scatenato l’ira dei suoi sostenitori. La pagina Facebook di Sergio Ramos, l’avversario che ha provocato il suo infortunio, è stata presa d’assalto anche da alcune persone che sono in esilio politico e dai giornalisti di Al Jazeera, la tv del Qatar che da anni è sotto attacco da parte del regime egiziano.

Inoltre, tra i faraoni, così vengono chiamati i calciatori della nazionale egiziana, non c’è più alcun giocatore che critica il regime. Anzi, nella rosa c’è anche Essam Kamal Tawfik el-Hadary, portiere di 45 anni e storico sostenitore di Mubarak. Anche la sua storia sta appassionando i tifosi: nel 2009, durante lo spareggio decisivo per qualificarsi al mondiali sudafricani, el-Hadary non riuscì a evitare un gol dell’Algeria negli ultimissimi minuti. A 37 anni sembrava che le sue chance di disputare un torneo iridato fossero svanite per sempre ma oggi, 8 anni dopo, è arrivato in Russia e sarà il giocatore più “anziano” di sempre ad aver mai messo piede in uno stadio del mondiale.

Così la partecipazione della nazionale egiziana a questa coppa del mondo, fatta di romantiche storie di riscatto, diventa collante sociale ma segna anche la fine di un’epoca in cui il mondo del calcio e le tifoserie avevano rappresentato una delle forme più consistenti e organizzate di contropotere, sostenendo le rivolte di piazza e gli attivisti che denunciavano le violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime. Lo scorso 27 maggio gli Ultras White Knight hanno pubblicato sulla loro pagina Facebook un video dove dichiarano ufficialmente lo scioglimento del gruppo. “I White knights e i sui membri fanno parte dell’Egitto e per questo abbiamo deciso di scioglierci per rispettare lo stato di diritto“, hanno affermato nel video prendendo le distanze da qualsiasi posizione politica.

Alcune settimane fa anche un gruppo appartenente alla tifoseria dell’Al-Ahly, gli Ahlawy Ultras 07, aveva comunicato la stessa decisione. D’altronde nel 2015 un tribunale del Cairo aveva messo al bando tutte le attività delle tifoserie inserendole nella lista delle organizzazioni terroristiche. E per le strade del Cairo nessuno osa scendere più in protesta: i 60.000 arresti politici, le sparizioni forzate, che secondo le organizzazioni internazionali sono 3 al giorno, le condanne a morte sommarie hanno instillato un clima di terrore che ha paralizzato qualsiasi attività di dissenso. In queste settimane dei mondiali il presidente Sisi potrà dormire sonni tranquilli nonostante si annuncino dei nuovi rincari dovuti al taglio dei sussidi (misura obbligatoria per mantenere il prestito assicurato dal Fondo Monetario Internazionale). Oggi il ministro egiziano dell’elettricità Mohammed Shaker ha annunciato che la tariffa media della fornitura di elettricità salirà del 26%, nell’anno fiscale 2018-2019. Un aumento che segue quello dei prezzi al dettaglio dopo la svalutazione del pound e altri rincari delle utenze domestiche.

Intanto, sempre grazie ai mondiali, un risultato nella politica internazionale Sisi lo ha già portato a casa: la preparazione della nazionale egiziana è avvenuta in Cecenia, con il ritiro e l’albergo interamente a carico del governo locale. Il presidente egiziano ha così potuto stringere nuovi rapporti con il leader ceceno Kadyrov compiacendo il presidente russo Vladimir Putin che già dai primi anni della presa al potere di Sisi è diventato un alleato economico dell’Egitto e un caposaldo della politica estera del regime del Cairo.

Articolo Precedente

Mondiali Russia 2018, dal vecchio stadio Lenin alla tomba del “ragno nero” Yashin: Mosca raccontata attraverso il calcio

next
Articolo Successivo

Mondiali Russia 2018, il borsino: Brasile, Germania e Argentina i favoriti. Poi Francia e Spagna. Attenzione alle sorprese

next