“Qualcuno un giorno, guardando questi mesi e anni, si chiederà: ‘Come sia stato possibile che l’Italia ha permesso tutto questo? E come è stato possibile rendere il Mediterraneo un cimitero?’. A quelle persone io dico: non tutti avranno partecipato a questo scempio. C’è chi ancora resiste e resisterà”. Così a Dimartedì (La7) lo scrittore Roberto Saviano conclude il suo monologo sui migranti e sull’accoglienza. E rende tributo a Soumalia Sacko, il giovane bracciante agricolo e sindacalista maliano ucciso il 2 giugno a San Calogero in una cartiera dismessa, e a Jerry Masslo, rifugiato sudafricano, rapinato e ucciso nel 1989 nelle campagne di Villa Literno. “Quando Jerry venne in Italia non gli fu concesso l’asilo politico” – spiega Saviano – “perché allora era limitato ai cittadini dell’Europa dell’Est. D’estate faceva il bracciante agricolo, raccoglieva pomodori. Era pagato 1000 lire a cassetta. Dopo il suo omicidio, 200mila persone scesero in piazza a Roma per manifestare contro il razzismo. La mobilitazione dell’opinione pubblica fu tale che lo Stato italiano decise di riconoscere anche agli stranieri extra-europei lo status di rifugiato”. E aggiunge: “Spesso sono proprio le comunità di immigrati a sfidare le organizzazioni criminali. Diventano delle piccole comunità anti-mafia che danno alla popolazione, spesso scoraggiata, una nuova linfa vitale. Le comunità dei migranti ormai sono nel Dna del Sud, perché qui la terra è piena del loro sudore e del loro sangue. Mi piace ormai definirli ‘afro-meridionali’. Riempiono un vuoto fisico e un vuoto di diritti. È per questo che dobbiamo essergli grati. Il vero cambiamento” – prosegue – “deve partire da Sud. Poco tempo prima di essere ucciso Jerry Maslo fu intervistato da Massimo Ghirelli per il Tg2. E disse: ‘Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere e pregiudizi. Invece sono deluso. Il razzismo è anche qui. È fatto di prepotenze, soprusi, violenze quotidiane. Noi del Terzo Mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro Paese, ma sembra’ che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato. E allora ci si accorgerà che esistiamo”.

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