I lettori via web aumentano e di conseguenza la pubblicità online cresce a ritmo sostenuto. Ma dietro il trend positivo si celano due rischi. Il primo è che, in Italia come all’estero, siano i grandi gruppi statunitensi del web ad accaparrarsi la fetta più grande della torta. Il secondo è che a fare le spese dello spostamento dell’advertising sia in prima battuta la carta stampata e poi la tv con la possibilità concreta di un peggioramento della qualità dell’informazione. “Il mercato pubblicitario mondiale nel 2010 era pari a 259 miliardi. Nel 2017 era arrivato a 506 – spiega Francesco Sacco, professore della SDA Bocconi School of Management e docente di economia all’Università dell’Insubria – In questo contesto di crescita, l’online è passato dai 66 miliardi di otto anni fa ai 205 miliardi dello scorso anno. Anche le tv hanno visto lievitare i loro introiti, ma in maniera meno intensa passando dai 157 miliardi del 2010 ai 193 del 2017”.

E questo sarebbe solo l’inizio di una crescita esponenziale: secondo le stime della società di ricerche Business Insider Intelligence, entro il 2023 la spesa globale in pubblicità salirà a 735 miliardi grazie proprio all’online. Fra cinque anni, la pubblicità via web raggiungerà i 464 miliardi di dollari (+13%) contro i 213 miliardi attesi per le tv (+2%). Sempre secondo Business Insider Intelligence, l’advertising digitale mondiale rappresenterà il 63% del mercato totale contro il 44% del 2018. E l’Europa non farà eccezione, passando dai 21 miliardi di spesa per la pubblicità online del 2011 agli 80 del 2023.

Ma che cosa significa questo cambiamento per il sistema dell’informazione? “In questa fase, l’evoluzione del mercato sta ridimensionando soprattutto la carta stampata – prosegue Sacco – La pubblicità televisiva ancora cresce, ma a ritmi meno sostenuti dell’online”. In Italia il trend è meno accentuato rispetto agli Stati Uniti, ma la tendenza è già evidente: secondo i dati dell’ultima rilevazione dell’autorità di vigilanza su media e telecom, Agcom, nel 2015 i ricavi del sistema integrato delle comunicazioni italiane sono stati pari a 17 miliardi. Di questa torta, la fetta più grande è andata a tv e radio (8,4 miliardi) che sono rimasti stabili (0,2%) rispetto ad un anno prima. L’editoria quotidiana e periodica ha perso invece il 6,3% (a 4,1 miliardi), mentre la pubblicità online è cresciuta del 2,2% a 1,6 miliardi.

Alla base di questo cambiamento nell’orientamento delle spese pubblicitarie degli inserzionisti ci sarebbero l’efficacia e la capacità del web di raggiungere i potenziali clienti come testimonia il fatto che basta una ricerca via Google a far scattare pubblicità mirate per il prodotto desiderato. “L’advertising online funziona perché consente di effettuare un marketing diretto su una fetta di mercato precisa – riprende Sacco – Se voglio ad esempio vendere una polizza auto per donne, via Internet potrò raggiungere il segmento di persone direttamente interessante al mio prodotto. Purtroppo in Italia le imprese ancora non hanno sviluppato il profilo tecnico necessario per mettere a frutto le potenzialità di marketing offerte dal web”. I banner però vanno alla grande e non si può ormai aprire pagina Internet senza che parta subito anche un video pubblicitario. “Non mi riferisco solo a quello – spiega – ma a veri e proprie eventi su prodotti diretti ad un target ben preciso. E’ un tipo di segmentazione di mercato possibile solo con il web”.

Si tratta in sostanza di un tipo di pubblicità molto focalizzata sul potenziale cliente che ha peraltro costi nettamente inferiori alla carta e alla tv. Tuttavia a frenare il mercato c’è il dubbio del clic fasullo che può pompare il numero di utenti unici di un sito web attraverso robot sparsi in giro per il mondo. “La problematica è reale, ma non per questo ha frenato lo sviluppo della pubblicità via Internet in giro per il mondo. Ci sono del resto tutti i mezzi per combattere i falsi clic – prosegue Sacco – Il problema più importante è invece dimostrare il ritorno sull’investimento. Questione che peraltro non è estranea al mondo della pubblicità tradizionale, ma che ha meccanismi più sofisticati soprattutto quando si parla di social”.

Ma allora anche in Italia la pubblicità via web supererà quella via tv? “Accadrà presto molto presto”, aggiunge Sacco evidenziando come ormai il web non sia più uno strumento riservato solo ai giovani. “Ogni italiano ha in tasca un telefonino. Ed è proprio per questo che il segmento mobile sarà certamente quello che crescerà di più”, aggiunge. Sullo sfondo c’è il rischio reale e concreto che i ricavi finiscano nelle tasche di colossi internet come Google e Facebook. “I grandi gruppi online beneficeranno massimamente delle nuove tendenze come è accaduto negli Stati Uniti – conclude – Il problema è che ad essere maggiormente colpiti saranno i giornali e di conseguenza ne risentirà anche la qualità dell’informazione. Gli approfondimenti giornalistici su carta sono in genere più dettagliati di quelli televisivi che scorrono via veloci”.

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