Monsignor Carlo Alberto Capella sarà processato dal Tribunale penale della Santa Sede per detenzione e scambio di materiale pedopornografico con l’aggravante dell’ingente quantità. Lo ha deciso il giudice istruttore vaticano che ha rinviato a giudizio l’ex consigliere della nunziatura a Washington “perché il reato contestato riguarda fatti commessi da un pubblico ufficiale, anche se all’estero”, ovvero negli Stati Uniti e in Canada. Norma quest’ultima voluta da Papa Francesco pochi mesi dopo la sua elezione al pontificato. Il processo inizierà il 22 giugno prossimo. Arrestato il 7 aprile 2018, Capella è attualmente detenuto in una cella all’interno della caserma della Gendarmeria Vaticana.

“Nella requisitoria del 30 maggio 2018 – si legge in un comunicato della Santa Sede – il promotore di giustizia, ritenendo sufficienti le prove acquisite, aveva chiesto che il giudice istruttore dichiarasse chiusa l’istruzione formale e disponesse con sentenza il rinvio a giudizio dell’imputato”. Richiesta accolta subito dal giudice che ha accertato anche la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria vaticana nonostante i reati siano stati commessi Oltreoceano. Le indagini su monsignor Capella, infatti, sono iniziate il 21 agosto 2017 quando il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha notificato, per via diplomatica, al Vaticano la possibile violazione delle norme in materia di immagini pedopornografiche da parte del numero due della nunziatura di Washington. Per evitare che fosse arrestato e processato negli Usa, la Santa Sede ha immediatamente richiamato Capella a Roma aprendo un’indagine penale.

Appena un mese dopo la segnalazione degli Stati Uniti, anche il Canada ha emesso un mandato di arresto per il diplomatico con l’accusa di possesso e distribuzione di materiale pedopornografico. La polizia di Windsor ha affermato che l’inchiesta è stata condotta sul web dopo una segnalazione del Centro nazionale di coordinamento contro lo sfruttamento dei bambini. Dall’indagine è emerso il serio sospetto che Capella ha scaricato e poi diffuso materiale di natura pedopornografica mentre visitava un luogo di culto in Ontario, nel periodo tra il 24 il 27 dicembre 2016. La diocesi di London, sempre in Ontario, ha confermato di aver ricevuto una richiesta di aiuto per l’indagine e che l’assistenza è stata fornita in relazione alle possibili violazioni della legge sulla pornografia infantile commesse dal diplomatico vaticano.

Capella, a lungo in servizio a Roma, prima in Segreteria di Stato e poi nella nunziatura in Italia, non aveva mai destato alcun sospetto nei superiori e le gravissime accuse di pedopornografia sono state un fulmine a ciel sereno. Il processo che inizierà nelle prossime settimane, tra l’altro, si svolgerà proprio nel periodo in cui il Papa è alle prese con un altro dossier assai grave che riguarda la pedofilia del clero cileno. Francesco non si è ancora pronunciato sulle dimissioni presentate in massa da tutti i vescovi del Paese latinoamericano ricevuti in Vaticano proprio per fare chiarezza sulle gravi omissioni e sulle complicità che alcuni di essi hanno commesso per decenni coprendo i preti pedofili e spostandoli di parrocchia in parrocchia.

Quello cileno non è l’unico caso recente in tema di pedofilia all’interno della Chiesa cattolica. L’arcidiocesi di St. Paul e Minneapolis negli Stati Uniti ha dovuto versare ben 210 milioni di dollari destinati a un fondo per pagare i 450 sopravvissuti agli abusi sessuali su minori commessi per decenni da numerosi preti. Si tratta del secondo più grande risarcimento alle vittime della pedofilia sborsato dalla Chiesa cattolica. Il maggiore esborso, infatti, c’è stato nel 2007 quando l’arcidiocesi di Los Angeles ha dato 660 milioni di dollari alle 508 vittime. Ma non è tutto.

In Australia, dopo la condanna dell’arcivescovo Philip Wilson per aver coperto gli abusi di un sacerdote su alcuni minori, il Papa ha nominato un amministratore apostolico per guidare l’arcidiocesi di Adelaide. Si tratta del gesuita Gregory O’Kelly, vescovo di Port Pirie. Wilson, 67 anni, che si dichiara innocente e al quale è stato diagnosticato il morbo di Alzheimer alle prime fasi, rischia fino a due anni di reclusione. Tutto ciò mentre si attende, nelle prossime settimane, sempre in Australia, la sentenza del processo che vede imputato il cardinale George Pell. Ma questa volta non solo per aver coperto la pedofilia del suo clero, bensì per aver commesso lui stesso abusi sessuali su minori.

Twitter: @FrancescoGran

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