Sex and The City oggi compie vent’anni. Certo, qualche tempo dopo, nel 2003, è arrivato Sky e le sue prime serie, poi – naturalmente – Netflix con la sua offerta sterminata. Eppure anche per chi, come me, si è innamorata perdutamente delle ostetriche londinesi (Call The Midway), dei nobili inglesi (Downton Abbey), della vita della Regina Elisabetta (The Crown), dei pubblicitari di Manhattan (Mad Man) e di tante altre serie, Sex and The City avrà sempre un posto speciale e difficilmente scalzabile nella classifica emotiva delle mie serie tv.

Mi sono chiesta più volte perché la serie ideata da Darren Starr abbia avuto così tanto successo. In fondo, le protagoniste sono quattro donne non prive di frivolezza e completamente immuni da preoccupazioni di tipo sociale o politico. Manhattan, da questo punto di vista, è una sorta di contenitore da favola, sradicato dalla realtà statunitense: potrebbe essere ovunque. Le quattro amiche sono dedite soprattutto a una cosa: cercare l’amore. Ognuna lo fa in maniera diversa: Samantha attraverso il sesso, Charlotte spinta da un romanticismo radicale, Miranda in maniera più realista e pragmatica, Carrie intrecciando romanticismo e riflessione, attraverso la rubrica che tiene e che, incredibilmente, le consente di mantenere uno stile di vita così elevato da potersi permettere scarpe da centinaia di dollari.

E proprio questo, in fondo, è quello che alle devote di Sex and The City è sempre piaciuto: no, non tanto le scarpe da centinaia di dollari, ma il fatto che queste donne possono dedicarsi alla ricerca dell’amore e della felicità scevre da qualsiasi preoccupazione materiale. Il lavoro, a parte la giornalista Carrie che vive di un rubrica (oggi farebbe sorridere), è presente per due di loro, Miranda è un avvocata e Samantha si occupa, se non sbaglio, di pubbliche relazioni. Ma quando non si incontrano nulla di tutto ciò entra nei loro discorsi: che riguardano praticamente in maniera costante la ricerca di relazioni sentimentali e sessuali e il racconto delle loro avventure amorose, quasi sempre sotto il segno dell’ironia e del divertimento e al tempo stesso dell’empatia e del sostegno reciproco. Perché l’altro valore al centro di questa serie è l’amicizia, collante delle quattro vite e filo rosso che tiene insieme le decine e decine di puntate.

Sex and The City ha un fascino universale, è stato visto praticamente ovunque nel mondo. Credo, però, che la sua ricezione sia stata diversa nei singoli paesi, a seconda della condizione delle donne in quegli stessi paesi. No, non voglio cominciare con lamentele sulla condizione femminile del nostro paese. D’altronde, anche negli Stati Uniti, luogo della serie, le donne che lavorano non se la passano bene, anche se la meritocrazia è certamente maggiore. Eppure, come ho detto, sono certa che per noi italiane il fascino di questa serie immortale risieda proprio nel vedere donne libere di concentrare emozioni ed energie esclusivamente sulla ricerca dell’uomo giusto, cosa che noi, concretamente, non possiamo fare. Penso a una commessa che vive inchiodata alla sua cassa e che quando stacca ha appena il tempo di andare a dormire. Penso a una madre senza reddito che magari ha capito di aver sposato l’uomo sbagliato ma non può fare nulla per cambiarlo. Come tanti libri di questi anni hanno raccontato, la precarietà dell’occupazione rende precario anche l’amore, perché essere working poor significa spendere tutte le proprie energie per portare a casa l’equivalente di uno o due paia di scarpe di lusso, necessario giusto per mangiare e poco più.

Potremmo dire: resta l’amicizia. Certo, ma in parte. Perché proprio come l’amore, non troppo paradossalmente anche l’amicizia è parzialmente legata alla disponibilità di tempo e di soldi, come noi sappiamo bene visto che, oberate da lavoro e altro, a malapena riusciamo a incontrare amiche nella nostra stessa città (figuriamoci quelle che sono altrove, magari emigrate). Per questo abbiamo siamo state incollate anni a Sex and the City: perché quello la serie ha saputo mettere in scena era la libertà di quattro donne, una libertà che consentiva loro non solo divertenti e curiose immersioni sentimentali di ogni tipo, ma anche la possibilità di incontrarsi quasi ogni giorno a pranzo tra di loro (e non al MacDonald o al baretto sotto casa, ma in ristoranti di lusso).

Ecco, forse quello che più ci ricordiamo di Sex and The city, più che le scene di sesso, sono proprio quei pranzi. Di nuovo, non tanto per i manicaretti squisiti e leggeri al tempo stesso, ma perché attorno al tavolo sedevano quattro amiche con tempo libero a disposizione e molto denaro,  e quindi capaci di concedersi il lusso meraviglioso di vedersi quando volevano, raccontarsi le proprie vite, ridere molto. E salutarsi pronte a ripartire per le loro esplorazioni emotive, con la leggerezza di chi non vincoli terreni: mutui da pagare, contratti in scadenza, mariti ingombranti e tutti i pesi a volte mortali che l’Italia – non solo, ma sicuramente anche – ci porta in dono.

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Non riesco a rispondere a tutti i commenti ma leggo tutto, grazie per i vostri interventi. 

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