Il candidato sindaco di Maletto ha uno zio condannato per fatti di mafia. E la prima visita di Matteo Salvini in Sicilia da ministro dell’Interno finisce inevitabilmente sotto il fuoco incrociato delle polemiche. E dire che il leader della Lega non è arrivato neanche a mettere piede nel piccolo comune in provincia di Catania, noto soprattutto per le coltivazioni di fragole. A causa dei numerosi impegni, infatti, Salvini si dovuto solo limitare a registrare un videomessaggio per Antonio Mazzeo, giovane aspirante primo cittadino della città etnea. Non poteva fare altrimenti visto che il candidato sindaco è uno dei primi leghisti di Sicilia: il Carroccio lo aveva già candidato alle Europee del 2014, e a Maletto aveva raccolto addirittura il 32,6%. Un risultato che aveva fatto portato la piccola cittadina sulle pagine della cronaca nazionale. Era solo il prologo dello sbarco al Sud della nuova Lega sovranista di Salvini.

Il candidato di Maletto e lo zio condannato: “Non si scelgono i parenti” – E adesso che il segretario del Carroccio ha scelto la Sicilia come prima meta da numero uno del Viminale ecco che inevitabilmente la candidatura di Mazzeo torna fare discutere. Il motivo? Le parentele del giovane candidato sindaco, già note sia a Salvini che a Stefano Candiani, il senatore inviato sull’isola a fare da commissario del partito. Mazzeo, infatti, è nipote di Mario Montagno Bozzone, che è stato condannato e ha già scontato due anni per associazione mafiosa. Nel febbraio scorso, poi, lo stesso Montagno Bozzone è stato condannato addirittura all’ergastolo per concorso in omicidio: avrebbe fatto da palo al commando guidato dal fratello Francesco. La sentenza, però, è solo di primo grado e in attesa dell’appello Montagno Bozzone è libero. E come documenta Salvo Catalano su Meridionews.it , il 13 maggio scorso era tra i presenti al comizio di apertura del nipote candidato sindaco. “Io non ho alcuna frequentazione col soggetto in questione. Ciascuno risponde delle proprie azioni e del proprio operato, altrimenti il 99% dei siciliani dovrebbe rinunciare a svolgere attività politica. Chi mi conosce sa come nel mio impegno politico ho sempre condannato il malaffare e la criminalità organizzata. Come ho detto più volte, i parenti purtroppo non si scelgono e io non ho rapporti con questo zio acquisito. Per quanto concerne la presenza al comizio della persona in questione, non è stata invitata da me, si tratta di un soggetto a cui evidentemente la magistratura ha ritenuto di non applicare alcuna misura cautelare e quindi, per le leggi dello Stato italiano, è libero di recarsi dove ritiene”, è la replica di Mazzeo.

Candiani: “Con questa logica non potremmo candidare nessuno” – Al giovane aspirante primo cittadino Candiani ha scelto di non concedere il simbolo di partito ma non per una questione di opportunità. “Nei comuni più piccoli si formano le liste civiche. Ma la vicenda di Antonio mi ha amareggiato: non si può condannare qualcuno all’emarginazione politica solo perché ha dei parenti mafiosi. Significa ucciderlo socialmente per colpe che semplicemente non ha e non può avere. Seguendo questo ragionamento non potremmo candidare nessun siciliano“, dice Candiani. Che in Sicilia tutti gli abitanti abbiano parentele con i mafiosi? “Ovviamente non intendo dire questo, ma è chiaro che le parentele non possono incidere sulla scelta dei candidati. Anche perché, nel caso in questione, Antonio non ha nulla a che vedere con questo zio. Non si possono utilizzare elementi del genere per colpire politicamente un partito. Altrimenti neanche Peppino Impastato sarebbe stato candidabile”, continua il senatore, nominato commisario della Lega in Sicilia dopo l’indagine giudiziaria che ha coinvolto anche il deputato Alessandro Pagano.

La scalata al Carroccio: “Ma qui tesseramento bloccato” – Proprio da quel momento è cominciata sull’isola la corsa per avere un posto nel partito di Alberto da Giussano, dato in forte crescita nei sondaggi dopo la nascita del governo con il Movimento 5 stelle. Una serie di big di Forza Italia, delusi dal flop del partito di Silvio Berlusconi, stanno cercando di riposizionarsi  all’ombra del Sole delle Alpi: dall’ex senatore Enzo Gibiino ai deputati Nino Germanà e Nino Minardo, quest’ultimo condannato in via definitiva a otto mesi per abuso d’ufficio. Proprio durante la visita di domenica scorsa a Rosolini, in provincia di Siracusa, Salvini è stato fotografato accanto a Giuseppe Gennuso, deputato regionale arrestato per voto di scambio nell’aprile scorso e poi tornato libero. “È ovvio che se Salvini va a Rosolini, nella calca possa spuntare qualche politico locale che però nulla ha a che vedere con la Lega”, dice Candiani. “So bene quanto è difficile fare politica in Sicilia e proprio per questo non ho fatto ancora partire il tesseramento: la Lega in Sicilia non ha ancora alcun tesserato per mia decisione. Su ogni adesione voglio vederci chiaro”, continua il commissario. “Poi, certo, è normale che qualcuno possa avere avuto esperienze politiche in passato. Ma in questo ci tengo a dire che in Sicilia la Lega è come la Legione Straniera: se si entra si sposa la causa e si parte da militanti”, continua l’ex sindaco di Tradate. Spedito dalla provincia di Varese alla Regione più a Sud d’Italia per vigilare sui tentativi d’infiltrazione nel partito di Salvini. Il lavoro non mancherà.

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