La Regione Abruzzo “determinò le condizioni per il totale isolamento dell’hotel Rigopiano” e gli indagati “attivavano tardivamente” il Comitato Emergenze. Nonostante i bollettini meteo, gli avvisi della Prefettura e gli sms del sindaco di Farindola che richiedeva con “urgenza” mezzi spazzaneve. È uno dei principali passaggi delle accuse formulate dalla Procura di Pescara, a carico del governatore regionale e senatore del Pd Luciano D’Alfonso, del sottosegretario alla Protezione civile, Mario Mazzocca, del responsabile della sala operativa dei Protezione civile, Silvio Liberatore, e del dirigente del servizio programmazione attività Protezione civile, Antonio Iovino, in relazione alla gestione dell’emergenza neve nelle ore in cui una valanga travolse la struttura di lusso a Farindola, provocando la morte di 29 persone, rimaste sepolte sotto la coltre bianca che travolse la Spa.

Le condizioni dell’hotel Rigopiano, quel 18 gennaio del 2017, erano “comunque tali – scrivono i magistrati – da impedire che la strada provinciale dall’hotel al bivio Mirri (…) fosse impercorribile per ingombro neve, di fatto rendendo impossibile a tutti i presenti nell’albergo di allontanarsi dallo stesso, tanto più in quanto allarmati dalle scosse di terremoto del 18 gennaio”. Inoltre i pm – come si legge negli avvisi di garanzia – imputano alla Regione, “nelle persone del presidente della Giunta regionale, dell’assessore con delega alla Protezione civile e dei funzionari sopra indicati”, di avere attivato “tardivamente il Comitato Operativo Regionale per le Emergenze”, peraltro in assenza di piani di emergenza regionali, in località diversa da quella della sala operativa. I magistrati evidenziano come gli indagati fossero “consapevoli dell’emergenza neve riguardante l’Abruzzo”.

Al riguardo sono citate la nota del capo di gabinetto della prefettura di Pescara, Leonardo Bianco, “inviata il 16 gennaio 2017 a presidenza del Consiglio dei ministri, ministro dell’Interno e Regione Abruzzo” e il “messaggio multiplo inviato nel pomeriggio del 17 gennaio, alle 19.29, dal sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, al presidente della Regione, Luciano D’Alfonso, al sottosegretario Mario Mazzocca e al presidente della Provincia, Antonio Di Marco, con urgente richiesta di mezzi spazzaneve per la mattina del 18 gennaio per “liberare contrade già isolate”. Infine si parla di “ulteriore consapevolezza della mancata adozione e quindi della totale carenza dei piani di Emergenza Regionale”.

Inoltre, secondo gli inquirenti, la mancata emanazione della carta valanghe, “ha fatto sì che le opere già realizzate” dall’hotel “non siano state segnalate dal sindaco” al Comitato tecnico regionale per lo studio della neve e valanghe. Secondo i pm, quelle informazioni “avrebbero determinato, ad opera del Comitato, l’immediata sospensione di ogni utilizzo, in stagione invernale, dell’albergo, fino alla realizzazione di idonei interventi di difesa anti valanghe nonché un valido piano di bonifica preventiva degli accumuli nevosi con procedure di distacco controllato”. In questo filone d’inchiesta – che vede coinvolti tra gli altri anche gli ex governatori Ottaviano Del Turco e Giovanni Chiodi – gli indagati avrebbero “omesso di intervenire presso i funzionari responsabili del Servizio di Protezione civile, sollecitando tempestivamente l’attuazione e l’esecuzione degli obblighi di legge” e la redazione della carta valanghe.

Lo scorso novembre, i carabinieri del Noe di Pescara avevano parlato in un’informativa consegnata alla procura di “sovrapposizioni e fraintendimenti”, turbine ‘doppione’ e altre scomparse. Secondo gli investigatori, vennero date “disposizioni confliggenti” mentre arrivavano richieste da diversi sindaci e telefonate da consiglieri regionali per sollecitare interventi. Stando alla ricostruzione dei carabinieri, quando gli uomini di Anas dissero di avere un’emergenza perché “c’è gente sotto a una slavina”, arrivò una reprimenda: “Non se ne frega niente D’Alfonso, queste sono le disposizioni”. Il caos di quelle ore – sempre secondo la ricostruzione degli investigatori – è nelle conversazioni di Claudio Ruffini, allora capo staff di D’Alfonso e delegato alla “delicata distribuzione dei mezzi”.

Un sms ricevuto dal sindaco di Notaresco tratteggia plasticamente la situazione: “Presidente, non mi altero mai. Sono 4 giorni che siamo soli. Stiamo investendo migliaia di euro con 11 mezzi nostri per pulire le provinciale più Strada provinciale 553 (ex statale) che sta franando. Per vostre mancanze sto lasciando le mie zone isolate. Con me c’è il comandante dei carabinieri. Mi alternerò. Vi sto scrivendo dentro la ruspa con me presente il comandante dei carabinieri”.

L’allora braccio destro del governatore – non indagato, ma intercettato in quei giorni per altre vicende –  “si è dimostrato non pienamente competente sul piano tecnico (generando ulteriore confusione sulle caratteristiche dei mezzi richiesti e disponibili) ed assolutamente non a conoscenza di intere aree d’intervento” senza che ciò “lo abbia spinto quanto meno a dotarsi di un conoscitore d’area che pure, nella sede deputata alla gestione dell’emergenza (il palazzo della Provincia di Pescara) certamente non mancava”. Per dirla con le parole usate dal sindaco di Cortino in una telefonata del 19 gennaio con un consigliere regionale: “Gli ho detto preside’ non parlare, mo parlo io un minuto.. avete rotto i coglioni, non ci state a capire una mazza…. oh Sandro hanno sottovalutato tutto…”.

“Sono convinto che la Regione abbia operato con diligenza, premura e risolutezza. Mi farò parte attiva affinché il lavoro della magistratura proceda speditamente e sono pronto a versare in atti tutto il mio patrimonio conoscitivo sulle contestazioni che fanno parte del fascicolo accusatorio – dice il governatore d’Abruzzo Luciano D’Alfonso – Dettaglierò ogni minuto delle giornate del 17, 18, 19 gennaio 2017, ovvero prima-durante-dopo la convocazione della riunione del Comitato Operativo Regionale di PC”. “Sulla ‘Carta del rischio valanghe’ va chiarito che i primi due lotti erano stati già appaltati e in esercizio contrattuale prima dei fatti di Rigopiano, quindi non si può sostenere che non vi fosse: essa era coincidente con quelle parti di territorio che la Carta storica aveva segnalato con una certa ed impegnativa ripetitività valanghiva”.

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