di Giorgio Gattei e Gianmarco Oro

1. Quando un partito di centrosinistra, come il Pd, esce da sette anni di larghe intese nel nome delle riforme e dell’austerità, forse ci si sarebbe aspettato un messaggio di speranza che parlasse di lavoro e di protezione sociale (entrambi in crisi già da diversi anni) che da parte di una socialdemocrazia europea sarebbe quantomeno augurabile. Ebbene, a questi livelli di disoccupazione, con i molteplici fallimenti delle imprese e una disuguaglianza distributiva sempre più accentuata, a chi si è rivolto il Pd quando ha parlato di aver fatto “cose buone” citando un Pil in crescita e un rapporto debito/Pil leggermente in discesa? A nessuno. Perché perdere le elezioni il 4 marzo, dopo aver fatto a suo dire “cose buone”, è un’aggravante e non una scusante, perché significa che si è perso sul campo più importante, cioè quello della rappresentanza politica.

Dall’inizio dell’esperienza repubblicana tutte le forze politiche, sia di destra che di sinistra, si sono contese l’egemonia della sovrastruttura statale mediando gli interessi economici di quella parte della popolazione che nella composizione sociale, se letta en marxiste, si pone tra la borghesia e il proletariato e che costituisce il cosiddetto ceto medio: impiegati privati e pubblici, liberi professionisti, lavoratori autonomi e piccoli imprenditori, artigiani e commercianti. Per lungo tempo visto a sinistra come l’arma, niente affatto scarica, che la borghesia puntava contro il proletariato per tenere in mano l’equilibrio della distribuzione del reddito in una economia capitalistica, il ceto medio ha approssimato il suo credo politico agli ideali della classe sociale che mostrava di essere la migliore rappresentante dei suoi interessi, condividendo quindi per lungo tempo con la borghesia le aspettative di benessere economico e la coscienza d’elevazione sociale e culturale, sia pure subendo, come il proletariato, lo stato di sottomissione agli stessi rapporti di lavoro coercitivi validi in un mercato concorrenziale.

Costituitosi nel Novecento a seguito dell’affermarsi del regime di produzione fordista e dell’intervento dello Stato nell’economia, questo ceto medio ha preso a espandersi socialmente, assorbendo nel corso del secolo gran parte dell’occupazione espulsa dalle campagne (in Italia soprattutto nel secondo dopoguerra) e ingigantito dal processo di “burocratizzazione” della società (che ha provocato una crescita della domanda di servizi) fino a diventare la maggioranza della popolazione (esemplari sono stati gli studi di Paolo Sylos Labini che ne hanno documentato statisticamente la “presa di potere”).

2. Le vicende politiche che si sono succedute dal secondo dopoguerra a oggi in Italia sono il fedele ritratto di una società caratterizzata da una forte e rapida mobilità sociale trainata dallo sviluppo capitalistico: sul principio il Psi e il Pci, i due partiti di “parte operaia” coalizzati nel Fronte popolare, hanno spinto la borghesia a convergere a sua volta, accantonando il secolare conflitto tra percettori di rendita agricola e di profitto industriale, sul simbolo unico della Democrazia cristiana. Ma poi la Dc è riuscita a cooptare al governo il Psi sulla base delle politiche riformistiche del centrosinistra, provocando la frattura nel fronte opposto di classe ed isolando il Pci che, per evitare l’insignificanza politica, ha dovuto concedere, a sua volta, un compromesso storico alla Dc. Fallito però quest’ultimo tentativo di rivalsa, a seguito del crollo del muro di Berlino nel 1989 con la relativa perdita del referente internazionale sovietico il Pci si è affrettato ad abbandonare sia il nome che il simbolo, trasformandosi dapprima in Pds e poi in Ds pur di recidere, quanto più possibile, il cordone ombelicale con la sua origine rivoluzionaria comunista (a Livorno nel 1921).

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