Oggi (1° giugno 2018) è il compleanno della Banca Centrale Europea e non mi va di farle gli auguri. Compie infatti 20 anni l’organismo istituito il 1° giugno 1998 a seguito della liquidazione dell’Istituto Monetario Europeo (Ime), che di fatto rappresentava un organismo temporaneo nell’ottica di un’unione monetaria (che poi è avvenuta) e che si poneva come scopo quello di cooperare al rafforzamento della collaborazione tra le banche centrali.

In verità la creatura iniziò a camminare da sola dal 1° gennaio 1999 quando ufficialmente cominciò le proprie attività e, ad oggi, è la maggiore autorità in termini di definizione della politica monetaria (controllo dei tassi di interesse) per i 19 paesi della “zona Euro”, nonché per il controllo sugli istituti di credito e sulla stabilità dell’intero sistema finanziario.

Insieme ai suoi germani maggiori (Fondo Monetario Internazionale e Commissione Europea) forma la cosiddetta “troika”, una banda non riconosciuta giuridicamente, un organismo informale, che praticamente rappresenta, secondo quanto riportato nel sito del Parlamento europeo, “l’insieme dei creditori ufficiali durante le negoziazioni con i paesi“. In altri termini coloro che, prestando soldi ai paesi in difficoltà, controllano una moderna forma di schiavitù. Perché le nazioni non sono ricche o povere per destino.

Ma questo è un altro discorso. Oggi ci interessa dare solennità alla ricorrenza. Un evento che ci fa riflettere su un altro aspetto.

La Bce, pur avendo raggiunto il traguardo dei venti, dimostra almeno la metà degli anni che ha. Fino al 2008, infatti, l’intervento della Bce è stato poco rilevante. Solo con l’irruzione della crisi su scala internazionale ha assunto un ruolo maggiormente interventista spostando, per quanto riguarda l’attività di controllo, soprattutto l’attenzione sul fenomeno Npl (o crediti deteriorati) che sembrano essere diventati il principale problema del sistema bancario europeo.

Una balla, una sciocchezza! Una fake news creata ad arte dalle potenti lobby finanziarie mondiali. Siamo nella mani della finanza internazionale che crea attenzione laddove vogliono le principali potenze occidentali (Usa, Germania e Francia): accendere i riflettori sul problema dei crediti deteriorati, sicuramente determinato da una inefficiente analisi creditizia ma ancor di più da una strana cecità degli organi di controllo, ci distrae da problemi molto più grossi.

Perché non si pone lo sguardo sulla bomba, finora inesplosa, dei titoli tossici in pancia alle banche europee (soprattutto tedesche e francesi). Se pensiamo infatti ai circa 270 miliardi di crediti deteriorati italiani, ci può scappare solo una risata (di sconforto) confrontandoli con i 25 bilioni di euro (bilancio 2016, troppi zero per scriverli in cifre) di esposizione in derivati della Deutsche Bank, almeno un paio di volte il Pil dell’Eurozona. Un calo del valore di questi asset anche solo di pochi basis point e i soldi sborsati per ricapitalizzare il MontePaschi Siena (o Unicredit) diventerebbero una inezia. Eppure pochi ne parlano.

I parlamentari europei (e a maggior ragione quelli italiani) hanno poco peso (eufemismo) nei confronti della Bce che, essendo un organo assolutamente indipendente, non risponde al potere politico e ha un obiettivo preciso: costringere le banche, attraverso una normativa sempre più stringente, a svalutare i Npl per farli acquistare a condizioni di favore ai grandi fondi stranieri, privilegiando quindi una finanza speculativa rispetto alla finanza commerciale classica e per consegnare, entro massimo un lustro, le banche del nostro paese (oggi ne contiamo circa 600 mentre nel ‘96 avevamo circa 1.000 istituti di credito) nella mani di 7-10 grandi gruppi prevalentemente a capitale straniero.

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