Quattro leader, una conferenza internazionale sotto l’egida dell’Onu, la (lunga) mediazione di Parigi. E una data, il 10 dicembre 2018, in cui i cittadini della Libia saranno chiamati (forse) a nuove elezioni. L’impegno è stato preso durante la conferenza di Parigi che si è tenuta all’Eliseo, cui hanno partecipato una ventina di Paesi e quattro organizzazioni internazionali. Protagonisti il premier libico Fayez Al Sarraj, il maresciallo Khalifa Haftar, il presidente della Camera dei rappresentanti Aguila Salah, e quello del Consiglio di stato, Khaled al-Meshri, messi attorno a un tavolo da Emmanuel Macron, che è il vero vincitore (diplomatico) del vertice.

“Noi ci impegniamo a lavorare in modo costruttivo con l’Onu per organizzare elezioni credibili e pacifiche e a rispettare i risultati delle elezioni”. Così recita l’inizio dell’accordo discusso – e letto a voce alta nel salone dell’Eliseo – dai quattro leader nordafricani. Un obiettivo per cui “non sarà tollerato alcun ostacolo” e gli eventuali responsabili “dovranno renderne conto”. Concetto ribadito anche da Al Sarraj, il premier “riconosciuto” dalla comunità internazionale, che in conferenza stampa ha aggiunto: in Libia “c’è stato già abbastanza sangue“, perciò invitiamo “tutte le parti a rispettare gli impegni assunti a Parigi”.

Ma è proprio di “impegni” – e non di decisioni ufficiali – che si tratta. Il documento discusso all’Eliseo, ha confermato Macron, non è stato firmato dai vari partecipanti al vertice, c’è stata solo un’approvazione informale. Perché? “Primo: alcuni partecipanti hanno chiesto di poter prima condividere la dichiarazione congiunta con i loro referenti sul suolo libico”, ha spiegato il presidente francese. “Il secondo motivo ancora più importante è che qui oggi hanno partecipato esponenti di istituzioni che non si riconoscono reciprocamente”, perciò “meglio avere una dichiarazione” che non una “dichiarazione infirmabile”, ha concluso.

Macron ha ancora una volta scavalcato l’Italia. Da quando è stato eletto, infatti, il leader francese ha messo in campo (spesso più a parole che non nei fatti) una strategia per rafforzare l’influenza della Francia sul territorio libico. Anche approfittando dell’assenza – istituzionale e politica – dell’Italia, partner naturale del Paese nordafricano. Il 26 luglio scorso, poche settimane dopo l’insediamento all’Eliseo, Parigi aveva ospitato uno storico incontro tra Al Sarraj e Haftar, consegnando ai giornali una bozza di accordo – mai firmata dai due – in cui i contraenti annunciavano il cessate il fuoco ed elezioni entro la primavera 2018. Elezioni che non si sono mai verificate.

Il giorno dopo Macron aveva poi annunciato che la Francia avrebbe costruito “hotspot in Libia per esaminare richieste d’asilo, ignorando, secondo l’allora premier Paolo Gentiloni, l’agenda italiana in tema di accoglienza. Diplomazie su doppio binario, quindi, che Italia e Francia hanno portato avanti per arrivare a una soluzione della crisi perpetua in Libia. E che ora si sono concretizzate con l’ennesima “promessa” strappata da Macron ai dominus del paese nordafricano per l’organizzazione di nuove elezioni.

“Voglio salutare l’impegno esemplare” dell’Italia sulla Libia, ha dichiarato il presidente francese al termine del vertice, congratulandosi per il “lavoro” svolto insieme al governo di Roma. Mentre fonti diplomatiche della Farnesina “auspicano” che ci possa essere “un passo avanti” per il futuro del Paese: “La stabilizzazione e la pacificazione della Libia”, infatti, sono “una “priorità strategica per Italia e per le Nazioni Unite”.

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