Negli ultimi anni abbiamo vissuto una vera e propria evoluzione della grafica dei videogiochi, da una parte la grafica in Pixel Art, figlia degli anni 80 e dei ricordi lontani, dall’altra la grafica fotorealistica, sempre più vicina a un film. La nuova fatica di David Cage e di Quantic Dream è proprio di questo tipo, talmente realistica per trama e grafica da lasciare senza fiato, soprattutto su televisori di nuova generazione.

All’inizio del gioco veniamo accolti da un androide della CyberLife l’azienda di Detroit che sta rivoluzionando il modo di vivere delle persone, creando androidi per qualsiasi esigenza; sarà proprio lei a prendersi cura di noi fin dalle prime battute di gioco, illustrandoci i menù, le opzioni e assicurandosi che il giocatore sia a proprio agio con il programma appena lanciato.

Il primo dei protagonisti che impersoneremo è Connor, androide specializzato in investigazione e mediazione, mandato a supporto di una squadra speciale della polizia per risolvere un delicato caso di “deviante”, questo il nome attribuito agli androidi che perdono il controllo.

Fin dalle prime battute Detroit: Become Human fa intuire la sua natura investigativa, spingendo il giocatore a controllare ogni oggetto e a vagliare ogni possibilità, risalendo cosi alla catena di eventi che hanno scatenato il malfunzionamento nel deviante che ha preso in ostaggio una bambina, dopo aver sparato al genitore, e scoprendo che la colpa è di qualcosa che sembra molto simile alla rabbia umana; mettendo assieme i pezzi dovremo evitare il peggio utilizzando la mediazone, sembra qualcosa di normale, tipico delle precedenti produzioni di Quantic Dream, e invece il titolo riserva delle sorprese.

Innanzitutto l’ambientazione, curata in ogni minimo particolare, è sicuramente un affresco su un futuro non troppo lontano, e fin troppo simile per certi versi alla nostra vita quotidiana; dall’altra parte le emozioni saranno messe in primo piano fin da subito, scavando dentro la nostra morale, mentre probabilmente non ci accorgiamo di una piccola lacrima che solca il nostro viso.  La seconda innovazione che Detroit Porta con se è lo schema delle scelte effettuate dal giocatore durante ogni capitolo, questo da la possibilità di vedere esattamente la strada che abbiamo deciso di percorrere e di rigiocare determinati pezzi, cambiando la storia ed esplorando nuovi sbocchi narrativi per vedere dove le nostre scelte ci possono portare.

Risolto il primo caso ci ritroveremo a impersonare Markus, l’androide che si occupa di aiutare Carl, un pittore famoso ma costretto sulla sedia a rotelle; durante una semplice commissione Markus verrà aggredito in quanto androide che ruba il lavoro all’uomo. Anche in questo caso vediamo emergere subito in tutta la sua potenza l’opera di Cage, che ci fa cogliere quanto le nostre azioni, passive o aggressive che siano andranno a delineare una storia più grande e complessa, come un affresco che lo stesso giocatore viene chiamato a dipingere. Il sistema di gioco è intuitivo e mai scontato, come nelle precedenti produzioni di Quantic Dream la fanno da padrone le leve del pad, che utilizzeremo praticamente per ogni interazione,come può essere il pulire i piatti, cosa che avviene nell’atto seguente, quando faremo la conoscenza del terzo protagonista: Kara.

Kara era stata fatta riparare dopo un incidente domestico non meglio identificato, una casa con due abitanti, un padre distrutto dall’aver perso lavoro a causa degli Androidi, e una figlia spaventata a morte dal padre. Nonostante non sia umana, l’androide è l’unica amica della bambina, e quando le cose si faranno drammatiche dovrà decidere se esserlo fino in fondo, andando contro la propria programmazione con tutto quello che ne consegue; sappiate che quello che avete letto è solo la punta dell’iceberg di una storia molto più grande, che va a toccare problemi che l’uomo già affronta quotidianamente, come la violenza domestica, il razzismo e la perdita del lavoro, allo stesso tempo le sapienti mani di David Cage hanno confezionato un’esperienza unica nel suo genere, che unisce la bellezza dell’investigazione a situazioni dove le lacrime sono sintetiche, ma le emozioni sono reali, e travolgono il giocatore come un treno in corsa, che non può far altro che rimanere incollato allo schermo fino alla proverbiale fine.

L’unico difetto in Detroit: Become Human è che non è un gioco per tutti, potrebbe non piacere a chi predilige giochi più movimentati e adrenalinici, ma anche loro dovrebbero provare questo titolo, trovando un’esperienza talmente intima, profonda e intensa da essere felici di abbandonare i loro generi preferiti, per vivere nel futuro, un futuro non troppo lontano dove le macchine sembrano avere spesso più sentimenti di noi umani.

Detroit: Become Human è disponbile sia in versione fisica che digitale con prezzi a partire da 65€, in esclusiva per Play Station 4.

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