“Ma qual è il tuo amico Francesco?”, chiedo a mio figlio. “Quello magro”, risponde lui. Guardo la foto di classe, cerco. I conti non mi tornano. Ricordavo… mi sembrava… forse sbaglio. Provo a richiederglielo. “Ma ce ne sono tanti magri”, ritento. E mio figlio: “Quello con il maglione viola”. Cerco nella foto, ce n’è un paio con un maglione viola o bluette. Sto per dirglielo, “Ma quello…?”. Allora mi fermo. Capisco. Mio figlio non vede i colori. Non perché sia daltonico.

Semplicemente per lui il compagno non è nero. È soltanto Francesco. Buono o miserabile; simpatico o stronzo. Chissà. Ma non bianco o nero. No, non voglio dire che mio figlio sia buono. E nemmeno che i nostri bambini siano migliori di noi. Ma hanno avuto la sorte di vivere in un mondo più grande. Me la ricordo ancora la prima volta che ho visto un nero, anzi, un negro come si diceva negli anni Settanta. Era vicino al campo di pallone della chiesa, aveva i pantaloni cachi e una camicia azzurra. I sandali. Camminava attaccato al muro e tutti noi lo guardavano, lo indicavamo con il dito puntato. “Guarda!”.

Soltanto oggi, dopo aver parlato con mio figlio, mi chiedo cosa deve aver sentito quel ragazzo vedendosi indicato. E provo un senso di colpa. Provo disagio ricordando il giorno che il mio amico Mattia si presentò con il suo ragazzo e io piantai gli occhi per terra non sapendo che faccia fare. Chissà se anche lui ricorda quel mio sguardo vile. Vorrei chiamarlo adesso, dopo tanti anni, all’una di notte, e chiederglielo. Vorrei dirgli: “Scusa”.

Speriamo che i nostri figli – nonostante le urla di chi vorrebbe farci vedere di nuovo in bianco e nero – non imparino dai grandi. Speriamo che non si lascino riportare in un mondo più piccolo. Angusto.

Se non riusciremo mai a considerarci TUTTI uguali, speriamo almeno di arrivare a essere TUTTI ugualmente diversi.

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