Si chiamava Mathew Blessing, veniva dalla Nigeria e aveva 21 anni. È morta lunedì 7 maggio, nella notte, mentre provava a passare la frontiera tra l’Italia e la Francia. “Quella notte un gruppo di cinque poliziotti ha inseguito nei boschi tre migranti, tra cui questa donna – racconta Michel Rousseau, presidente di Tous Migrant che insieme all’avvocato Yassine Djermoune ha raccolto la testimonianza dei due uomini che erano presenti insieme alla donna. “I poliziotti sono sbucati dai cespugli puntando le torce sui migranti e urlando ‘Polizia’ – racconta l’avvocato che sta seguendo il caso – e i migranti sono scappati verso il paese di La Vachette. Non sappiamo ancora come la donna sia finita nel fiume, ma era rincorsa dalla polizia”.

Il suo corpo è stato ritrovato cinquanta ore dopo alla diga di Prelles, dopo Briançon, insieme ad una sacca con il suo documento. Alla sorella, arrivata da Bari per riconoscere il corpo, non è stato permesso di vederla: “Mi hanno fermato alla frontiera – racconta la donna – prima mi hanno detto che non avevo i documenti in regola per entrare in Francia e poi mi hanno detto che il volto non era riconoscibile, come se fosse passato in una lavatrice. Ma io voglio vederla sappiamo che è lei, hanno trovato la borsa con il suo documento”.

A La Vachette, il paese dove la donna è caduta nel fiume, gli abitanti insieme ai solidali hanno organizzato una veglia funebre mercoledì sera: “Credevamo che i veri pericoli fossero la neve e il freddo, ma in realtà la prima vittima è stata causata dalla caccia all’uomo che la polizia fa nei boschi” attacca Benoit Ducos, la guida alpina accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver aiutato una migrante incinta. “Tutti ci dicono che non dovremmo dare da mangiare o caricare in macchina queste persone – racconta Julie, 21 anni, abitante di La Vachette – ma questo non può essere un crimine”. Intanto la neve si sciogli e restituisce alla vista gli oggetti che i migranti hanno lasciato per strada nella marcia di diciassette chilometri che devono percorrere per arrivare in Francia. Scarponi da Montagna, sacche con spazzolini, giacconi, spesso donati dai solidali, che hanno permesso ai migranti di raggiungere la loro “Terra Promessa”. “L’Europa per noi è un carcere a cielo aperto – conclude Lamin, 20 anni originario del Senegal, che dopo ore di cammino è riuscito ad arrivare a Briançon – se mi dessero l’opportunità di tornare nel mio paese, non ci penserei due volte”.

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