“Il patrimonio culturale italiano rappresenta uno degli aspetti che più ci identificano nel mondo”. L’incipit del capitolo relativo alla cultura nella versione definitiva del contratto di governo sottoscritto da M5s e Lega, lasciava ben sperare. L’affermazione incontrovertibile. L’assunto iniziale azzeccato.

Peccato che quel che segue sia più che deludente nei contenuti, oltre che approssimativo nella forma. Dopo la stagione del Pd al governo e di Dario Franceschini, ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo aspettarsi qualcosa di più è naturale. Dopo le feroci e ampiamente giustificate critiche rivolte da M5s e Lega a quanto fatto dal ministro, erano in molti a sperare che il nuovo governo in pectore avrebbe presentato proposte meno generiche. Anni di opposizione e tante occasioni per discutere del tema avrebbero dovuto fornire l’occasione per definire idee e suggerire spunti. Invece, niente. Peraltro un “niente” anche tratteggiato con una non cultura del lessico.

Certo si ricorda come “Il nostro Paese è colmo di ricchezze artistiche e architettoniche sparse in maniera omogenea su tutto il territorio, e in ogni campo dell’arte rappresentiamo un’eccellenza a livello mondiale, sia essa la danza, il cinema, la musica, il teatro”. Insomma capillarità geografica delle testimonianze e unicità del patrimonio culturale di casa nostra, al punto da divenire una sorta di “brand Italia”. Solidi principi, l’uno e l’altro. Peculiarità indiscusse. Capisaldi per tutti, almeno formalmente. Capisaldi anche per Franceschini.

Già, perché anche il ministro sponsor di se stesso in innumerevoli circostanze, tante volte ha ricordato il numero straordinario di luoghi della cultura disseminati sul territorio nazionale. Ne ha parlato, privilegiandone però un numero abbastanza esiguo, costituito quasi esclusivamente da “grandi siti”. Già, perché anche Franceschini ha spesso sottolineato come le arti italiane rappresentino un’eccellenza. Se non fosse che molte di quelle arti continuano il loro lento declino a causa di misure inadeguate, gli si potrebbe credere.

Così dopo il Pd quelle parole sono ripetute da M5s e Lega. Dopo Renzi e poi Gentiloni ora è il turno di Di Maio e Salvini. In attesa del nome del nuovo ministro dei Beni culturali quelle parole rimangono di Franceschini. Fin qui niente di nuovo. Uno scialbo remake. Senza infamia e senza lode. Ma ecco, quasi d’improvviso, la parte più significativa dell’idea di Cultura formulata in tandem da M5s e Lega.

Dopo i Beni culturali = petrolio d’italia e il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo = il primo ministero economico del Paese, ecco la trovata geniale. Sia da un punto vista sostanziale, che formale. Quale? Scrivere che “… nonostante tali risorse, l’Italia oggi non sfrutta a pieno le sue possibilità, lasciando in alcuni casi i propri beni ed il proprio patrimonio culturale nella condizione di non essere valorizzati a dovere”.

La scelta di utilizzare il verbo sfruttare, nella circostanza, non appare particolarmente felice. Innanzitutto perché rimanda direttamente alle politiche di Franceschini, per le quali a governare ogni operazione era la valorizzazione. Una valorizzazione praticamente senza limitazioni. Volendo sperare che né M5s né Lega vogliano proseguire quelle politiche, possibile che a nessuno sia venuto in mente che l’utilizzo di quel verbo avrebbe potuto tramutarsi in uno sciagurato autogol? Possibile che nessuno, non trovando un altro verbo, abbia pensato di consultare un vocabolario dei sinonimi e contrari? Senza doversi recare in biblioteca si può agevolmente trovare anche in rete. Non è stato fatto, evidentemente. Chi pensi che si tratti di una insignificante sottigliezza linguistica sbaglia. E’ cura. Anzi è sostanza.

Si prosegue. Di nuovo senza sussulti, affermando che “I beni culturali sono uno strumento fondamentale per lo sviluppo del turismo in tutto il territorio italiano nonché alla formazione del cittadino in continuità con la nostra identità”. Nessun sussulto fino alla tesi secondo la quale “lo Stato non può limitarsi alla sola conservazione del bene, ma deve valorizzarlo e renderlo fruibile attraverso sistemi e modelli efficaci, grazie ad una gestione attenta e una migliore cooperazione tra gli enti pubblici e i privati”.

Della serie “non può esistere tutela senza valorizzazione e fruizione”. Straordinaria novità! Una eccezionale rivelazione! Come se anche Franceschini non lo avesse detto. Con i risultati che sono diventati storia. Come gli eventi privati in alcuni siti archeologici, le sfilate nella Pinacoteca di Brera e i matrimoni nelle sale della Reggia di Caserta. Senza contare che evocare “sistemi e modelli efficaci” è tanto generico da risultare se non inefficace quasi inutile. Senza contare che “una migliore cooperazione tra gli enti pubblici e privati” è né più né meno quanto ha predicato Franceschini. Sempre.

Non è tutto. “Occorre mettere in campo misure in grado di tutelare il bene nel lungo periodo, utilizzando in maniera virtuosa le risorse a disposizione”. Come se nel passato più o meno recente ci sia stato qualcuno che abbia sostenuto il contrario. Sostenere che si utilizzeranno in maniera virtuosa le risorse disponibili è un’affermazione evidentemente condivisibile, ma banalmente suggerita dal buonsenso.

Naturalmente nessun taglio lineare. Chiaro! In questo modo “si riduce la possibilità di accrescere la ricchezza anche economica dei nostri territori”. Quindi “Aumento della fruibilità” e “adeguato miglioramento dei servizi offerti ai visitatori” per Musei, siti archeologici e siti Unesco. Chiaro, anche questo. Come lo era d’altra parte al ministro Franceschini. Eppure, almeno riguardo alla fruibilità, continua a non essere un granché il panorama.

C’è spazio anche per lo spettacolo dal vivo. Sono pochi i fondi? Rischiano di soffocare “le nostre realtà”? Nessun problema! Ecco la soluzione! Una riforma del sistema di finanziamento che rimetta al centro la qualità dei progetti artistici”. Facile, no?

In attesa di sapere come andrà il voto online degli iscritti grillini ai quali è stato sottoposto il testo del contratto di governo, rimangono molti dubbi. Su un programma definitivo che sembra una bozza. Su una idea di cultura che sembra davvero approssimativa per diventare un programma di governo. Su una inconsistenza di fondo che non sembra promettere nulla di buono. L’euforia di molti per l’addio a Franceschini rischia di trasformarsi in preoccupazione. Per quel che sarà.

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