A partire da oggi, per i prossimi giorni, ilfattoquotidiano.it pubblicherà le analisi delle macroaree previste dal contratto di governo redatto da Movimento 5 stelle e Lega. La prima puntata è dedicata ai costi della politica, da sempre cavallo di battaglia dei 5 stelle

Vale circa 250 milioni l’anno il taglio ai “costi della politica” del contratto di governo Lega-M5S. Quanto il riparto annuale del fondo per anziani non autosufficienti e per l’infanzia nelle regioni più povere d’Italia, in una legislatura vale 1,2 miliardi, la cifra necessaria a scongiurare l’aumento dell’età pensionabile nel 2019. Il risparmio sarebbe l’effetto combinato della riduzione dei parlamentari a non più di 600 e della famosa battaglia per la cancellazione dei vitalizi, con ricalcolo su base contributiva e riduzione degli assegni superiori ai 5mila euro. Il documento che prelude alla nascita di un esecutivo giallo-verde su questi punti non ha subito modifiche e forse promette, in numeri, più di quanto apparentemente dica.

Risalendo il testo fino al punto 19 che condensa il programma “Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta” si trova una delle azioni più promettenti in fatto di sforbiciate. Si tratta della riduzione a due terzi degli attuali occupanti le due Camere. I parlamentari sarebbero ridotti, si legge testualmente, a “400 deputati e 200 senatori”. In pratica il Senato sarebbe ridotto di un terzo, dagli attuali 320 seggi previsti ne perderebbe per strada 120, mentre la Camera scenderebbe da 630 a 400, lasciandone a casa altri 230. In tutto, quindi, nella prossima legislatura – posto che tutto s’avveri in questa come da “contratto” – si potrebbero avere 600 eletti e 350 posti rimarrebbero vuoti. Tuttavia, per arrivare alla riduzione del numero degli onorevoli non basta un regolamento parlamentare. Serve un iter di modifica costituzionale. Lungo e rischioso, come insegna la legislatura appena finita, sensibile al termometro politico e, soprattutto soggetto al voto popolare nel referendum. Se il alla sforbiciata ad oggi appare scontato, più rischioso sarebbe agganciare allo stesso voto anche l’introduzione del vincolo di mandato, previsto anch’esso dall’accordo giallo-verde. A fronte dei risparmi, quindi, la scadenza non è certa e comunque gli effetti tangibili non arriverebbero prima della legislatura successiva.

Più semplice il punto 24 del contratto titolato “Costi della politica e istituzioni”. A prima sei righe scarne, 620 caratteri, che recitano così: “Riteniamo doveroso intervenire nelle sedi di competenza per tagliare i costi della politica e delle istituzioni, eliminando gli eccessi e i privilegi. Occorre ricondurre il sistema previdenziale (dei vitalizi o pensionistico) dei parlamentari, dei consiglieri regionali e di tutti i componenti e i dipendenti degli organi costituzionali al sistema previdenziale vigente per tutti i cittadini, anche per il passato. Per una maggiore equità sociale riteniamo altresì necessario un intervento finalizzato al taglio delle cd. pensioni d’oro (superiori ai 5.000,00 euro netti mensili) non giustificate dai contributi versati”. Punto. Abbastanza per l’ex parlamentare che avrà un tuffo al cuore e stringerà istintivamente portafogli, investimenti e case messi da parte con la pensione d’oro. Un po’ poco, probabilmente, per il militante Cinque Stelle che non vedeva l’ora che il Movimento arrivasse al governo per azzerare i tanti privilegi della Casta e proprio in queste ore, fino alle 20 di questa sera, deve decidere se accendere il disco verde a un governo Di Maio-Salvini votando online l’accordo di programma. Farlo non sarà affatto facile, come dimostra il tentativo ingaggiato finora senza successo dal questore della Camera Riccardo Fraccaro che appena insediato prometteva ottimisticamente l’abolizione in due settimane.

Ma quanto valgono le due operazioni che, se pur sotto capitoli diversi, incideranno sui costi della politica? Per i vitalizi il risparmio ipotizzato è da sempre oggetto di controversia, ma fa fede il dato che ha convinto il presidente Tito Boeri a sferzare i partiti perché diano corso al taglio smettendo di trincerarsi dietro accuse di demagogia e la pretesa modestia dei benefici della riduzione per le casse pubbliche: tra contributi diretti e figurativi si tratta infatti di 150 milioni di euro l’anno. L’effetto a breve termine della riduzione del numero dei parlamentari può essere calcolato a spanne considerando che tra indennità mensile, rimborsi e diaria un senatore costa a Palazzo Madama 23mila euro lordi, un deputato 21mila, senza considerare eventuali indennità di funzione, missioni e altre voci. Dunque, avremmo per l’amministrazione del Senato un risparmio pari a 2,7 milioni al mese e per quella della Camera di 4,8 milioni. In un mese il risparmio complessivo così calcolato sfiorerebbe gli 8 milioni, in un anno cento milioni di euro.

Tra vitalizi e minori costi delle camere dunque si conseguirebbero quasi 250 milioni di euro l’anno, 1,2 miliardi in cinque. Sono tanti o pochi? Per un anno sono la cifra messa nero su bianco sull’ultimo Programma nazionale per i servizi di cura all’infanzia e agli anziani non autosufficienti nelle quattro regioni obiettivo dell’obbiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia). Per cinque anni, equivalgono al costo del mancato aumento dell’età pensionabile a 67 anni.

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