Quando si dice che una fotografia vale più di mille parole. A patto di considerare la qualità delle mille parole, certo, ma l’immagine di apertura di questo reportage racconta più dei miei prossimi mille vocaboli, verbi e aggettivi che riuscirò a mettere in fila. E riassume, in fondo, il fascino delle Galàpagos. Sapete quelle isole magiche che si trovano al largo delle coste dell’Ecuador. Tredici terre distanti mille chilometri dalla costa più vicina, che è quella dell’Ecuador, in pieno Pacifico, abbastanza lontane per essere state lasciate in pace per secoli, millenni, ere geologiche. Terre vulcaniche, antiche. Le isole più vecchie hanno 4 milioni di anni. Quelle più recenti sono ancora in fase di assestamento.  Scogli desolati in principio, poi piano piano colonizzati da piante e animali arrivati fin qui nei modi più disparati.  Una “natura incontaminata” come si dice, senza ingerenze. Che significa non contaminata dall’uomo, arrivato molto più tardi. Un mondo chiuso abitato da animali che non avendo mai avuto a che fare con l’essere più spietato e dannoso del pianeta hanno una caratteristica straordinaria: non hanno paura degli uomini.  Che interesse potevano suscitare terre lontane da tutto, spesso brumose, in parte di pura lava, abitate solo da iguane e inutili animali? A parte le tartarughe giganti (per essere corretti testuggini), più sfortunate, che pirati e navigatori le usavano come carne in scatola.

Così li avvicini, li frequenti, ci dialoghi perfino, animali “selvaggi” che diventano domestici. Niente appostamenti di ore o giorni in capanni mimetizzati per essere a tu per tu con un falco, niente teleobbiettivi da 600 mm per beccare un albatro, o una famiglia di albatros, che giocano sulla spiaggia. Uccellini vari che vengono a becchettare a un centimetro da te. Compresi i mitici fringuelli di Darwin, più celebri delle star di Hollywood. E le foche che ti saltano dentro la canoa, appunto. Ed ecco la foto. Il ragazzotto si chiama Paul Krisman, è inglese, appassionato di fotografia e natura. Alle Galapagos ci è venuto con il padre, tre crociere, una dopo l’altra, costosissime, per non perdersi neanche un angolino del paradiso.

Probabilmente per Paul (“amazed, i’m amazed”, sono strabiliato) è stato uno dei più begli incontri della sua vita. Se avesse desiderato qualcosa di più mondano la crociera l’avrebbe fatta alle Hawaii, o in Polinesia, ai Caraibi. E la magia delle Galàpagos è proprio questo, il rapporto ritrovato con gli animali. D’accordo, anche nei parchi africani si vive a contatto perfino con leoni e iene, ma se ti saltano dentro la jeep non va bene. Anche se normalmente non lo fanno. C’è sempre un teleobbiettivo tra noi e loro. Anche nel parco del Virunga si “incontrano” gorilla che non hanno paura dell’uomo bianco perché sono sempre stati cacciati dall’uomo “nero”, ma l’uomo bianco  un po’ di ansia la prova. E io un po’ di paura l’avevo provata. E in Madagascar hai i lemuri che ti saltano sulle spalle, ma solo qualche specie. Quelli più difficili devi cercarli nella foresta con pazienza. E non sempre ti va bene. Insomma è sempre una caccia. E in Antartide puoi camminare tranquillamente tra i pinguini, con i cuccioli, pulcini da una dozzina di chili, che vengono a toccarti curiosi con i loro becchi. Fantastico, ma ci sono solo i pinguini. Qui alle Galàpagos “l’amore per l’uomo”, o la curiosità verso l’uomo, è di tutte le specie e di tutti gli esemplari. Nemmeno il più minuscolo e indifeso dei fringuelli di Darwin ha paura di te.

Dire che è come essere in uno zoo senza barriere né reti è sbagliato. Qui gli animali non soffrono. Semmai soffrono un po’ gli uomini, nella fatica di rispettare rigorosi divieti e nello stress di voler vedere e vivere il più possibile. Intruppati (in piccole truppe comunque), su sentieri sassosi al ritmo imposto dal business turistico, perché devi fare largo al gruppo di cinesi, americani, australiani che incombe dietro. Niente di drammatico, ma te lo godresti da solo, in un sogno, come un Robinson Crusoe, questo mondo fantastico. Islas Encantadas erano state anche chiamate le isole tra i vari nomi affibbiati dai vari “scopritori” tra pirati inglesi e navigatori di varie nazionalità ed epoche finiti fuori rotta. Un giorno l’Ecuador le ha ribattezzate tutte in spagnolo. Conquistate, mai da nessuno. Nessun interesse, niente oro da saccheggiare. Charles Darwin invece aveva individuato qui un tesoro, un laboratorio eccitante da cui avrebbe elaborato le intuizioni che avrebbero smantellato il creazionismo. L’aveva concepito qui il suo “L’origine della specie per selezione naturale” che nel 1859, quando venne pubblicato, aveva avuto l’effetto di un sasso buttato nello stagno delle credenze.  La conferma studiando questo piccolo mondo chiuso, lontano, dove per sopravvivere avevano vinto gli esemplari più evoluti, diversi da isola ad isola. A Puerto Ayora, nell’isola Santa Cruz (altro nome Indefatigable) alla Charles Darwin Research Station scienziati di tutto il mondo sono ancora lì dal 1964 ad elaborare e affinare le teorie del vecchio genio e a contribuire alla conservazione delle isole. Insieme al Galapagos National Park Service, ente governativo che protegge il suo patrimonio naturale istituito nel 1959. L’arcipelago è sotto controllo stretto da allora. A qual tempo ci abitavano un migliaio di persone, oggi sono in trentamila. A quel tempo i forestieri che riuscivano ad arrivare fino a qui erano un plotone di avventurosi naturalisti, oggi i turisti sono 600mila all’anno, e il numero dovrebbe essere chiuso. Pagano 100 dollari come “biglietto” di ingresso e cifre non proprio basse per soggiornarvi.

Ci ero già capitato circa trent’anni fa per la prima volta. A quei tempi era ancora bello arzillo Lonesome George, George il solitario, il mitico tartarugone gigante ultimo di una sottospecie morto nel 2012 alla probabile età di cent’anni, portandosi via i suoi geni dopo essersi sempre rifiutato di trasmetterli a femmine non delle sue specie. Avevamo noleggiato, io e il fotografo, una barca di nove metri, un guscio di legno con a bordo il dueño, il proprietario della barca e il cocineroA quel tempo si poteva fare. Andavi al porto e chiedevi a un pescatore se ti poteva portare in giro. Oggi il traffico marino è rigorosamente controllato e organizzato. C’erano cuccette da marinaio per dormire e un tavolo nel pozzetto dove mangiare. Il dueño ci portava in giro per le isole, il cocinero pescava tonnetti alla lenza e cucinava. Si approdava su un’isola e magicamente compariva una guida che non ci lasciava un secondo per impedire, ad esempio, che portassimo sabbia di un’isola su un’altra isola. O che osassimo fumare una sigaretta. Il senso di libertà era infinito. Gli animali in quei tempi di turismo contenuto forse erano ancora un po’ stupiti dalla presenza di quei buffi bipedi così somiglianti ai pinguini che vivono qui, altrettanto innocui ma alti quattro o cinque volte e tutti colorati. Così per esempio le innocue, timide  sule dalle zampe azzurre, e anche quelle dalle zampe rosse, nidificavano con arroganza sui sentieri fatti per gli umani e dovevi girargli intorno accompagnato da uno starnazzante e seccato concerto se non volevi beccarti una beccata.

Oggi i sentieri sono liberi, i gruppi di turisti, sempre rispettosi e controllatissimi dai rangers, si susseguono come i vagoni di un treno, uomini e animali si sono un po’ più separati in nome di una pacifica convivenza, e non ho più visto sule dalla zampe azzurre sui sentieri degli umani. Tra le isole navigano barche a vela, yacht da 40 metri e una dozzina cabine e perfino una “quasi nave da crociera” da un centinaio di ospiti, la Silver Galapagos. Quasi duecento imbarcazioni, sembra. Sono più affollate oggi le Galàpagos  rispetto a tre decenni fa, ma i turisti non annullano la magia. Pericoli per l’ecosistema in fondo pochi, chi arriva da queste parti di solito non è un deturpatore dell’ambiente. Tutto è sotto il controllo rigoroso del Parco, ma si sa che il business turistico è un diavolo tentatore. Ci sono tre aeroporti sulle isole. Il più vicino alla costa dell’Ecuador è quello dell’isola di San Cristobal. C’è una cittadina, Puerto Barquerizo Moreno, qualche migliaia di abitanti, un lungomare, che sembra di essere alle Cayman, negozi, bar, ristoranti, alberghi e un “retro” con quartieri più malandati. Colonie di foche e leoni marini che affollano le spiagge, una crianza, allevamento e cura delle tartarughe giganti, e uno scooterista su una bella Vespa d’altri tempi finita qui chissà come.

Un po’ ti delude, in fondo, la città non perfetta, con qualche casa macilenta, altre non finite, i cavi dell’elettricità penzolanti, le strade appena dietro il malecon (il lungomare), tenute non proprio benissimo. Ti aspetti che tutto qui sia lustro e perfetto. Ti delude perché se ci pensi il confronto con gli animali non regge. La bellezza di un albatro, i colori e le forme di quei mostri preistorici in miniatura che sono le iguane, la fierezza di un falco che avvicini a due metri, le otarie o foche o leoni di mare in varie specie lucide e perfette, le incredibili sule con le zampe blu o con le zampe rosse, i pellicani perfette macchine da pesca dai primi piani inaspettati, i fenicotteri rosa, i granchi in tante varianti di forma e colori, i piccoli fringuelli che avevano fatto intuire a Darwin la sua teoria, fino alle maestose fregate che volano in formazione come pattuglie acrobatiche, dalle magnifiche silhouette stilizzate (e infatti il nome scientifico è fregata magnificens) veloci e abili e così potenti e arroganti che non si degnano neppure di pescare ma rubano in volo il pesce catturato da altri uccelli. Strappandolo letteralmente dal becco delle vittime. Veri pirati del cielo. E i paesaggi sempre diversi, puri, perfetti. La bellezza della natura che ti fa capire come siano disastrosi gli interventi dell’uomo. Certo le città hanno alberghi e resort lussuosi e tecnicamente perfetti, piccole oasi artificiali. Poi ci sono le barche, il restare sempre in mare che ti dà qualcosa di più, lontano da tutto, nell’arcipelago più lontano da tutto. La barca è uno yacht di 42 metri, 8 grandi cabine, 3 ponti, un capitano russo al timone, una brigata di cucina a bordo, una squadra di marinai con un numero adeguato di gommoni per portare gli ospiti a terra, sempre sotto il controllo e le spiegazioni scientifico-folkoristiche di una guida. Un ranger severo, imposto dal Parco. La vita è una vita di gruppo. Otto cabine, sedici ospiti, tavoli comuni, spazi da barca. Sei obbligato a socializzare anche con le persone, oltre che con gli animali. Per i solitari resta la nave da cento posti.

E così si va di isola in isola camminando su sentieri fatti di sassi di lava, o disegnati nella boscaglia. Raggiungendo spiagge bianche occupate dagli animali più apparentemente rilassati del pianeta, che sono le foche, sempre viste pacificamente stese al sole in un luogo praticamente senza nemici. A parte gli squali dalla pinna bianca quando sono in acqua, e i falchi da pulcini. Qualche volta il sole non c’è, il cielo si rannuvola e scende una pioggerella che ti aspetteresti a Bruxelles, leggera, quasi spray, che si chiama garua e non puoi tornare dalle Galapagos senza aver visto la garua e sentiti i commenti della gente locale sulla natura di questa pioggia, sui benefici o malefici, sulla durata, sull’origine, naturalmente tutti commenti diversi. La stagione delle piogge in realtà è da dicembre a maggio, è anche la stagione più calda. Si fanno le immersioni senza muta ma le foche nuotano più in profondità. La stagione fredda, della garua, va da giugno a novembre, la migliore. La corrente di Humbold arricchisce il mare e le attività della fauna si moltiplicano, i cieli cambiano, come i colori. La stagione peggiore la nostra estate e le vacanze natalizie quando El Niño, la corrente del bambino (Gesù appena nato) porta venti e perfino burrasche. Sette giorni nelle isole, cinque giorni in mare per 13 isole, 7 grandi e 6 piccole, ti vien voglia di mettere il capitano russo al timone anche di notte, tutte le notti per vederle tutte. Impossibile. Dodici isole, per essere esatti, la Pinta, una delle più piccole, su al nord non è accessibile ai turisti. L’ultimo pezzetto di paradiso davvero allo stato puro. Perfino senza turisti. Ma possiamo solo immaginarlo.

Come arrivarci

Uno dei tour operator più accreditati per l’America Latina è “Tour 2000” (via Martiri della Resistenza 95-Ancona) che organizza viaggi sia individuali che di gruppo nei due modi classici con crisi visitano le Galapagos: cioè con sistemazione a terra o  in crociera. Il primo è più economico. Per esempio una vacanza di 9 giorni/7 notti in albergo in una delle isole maggiori parte da 2.990 euro con alcune escursioni sulle isole più piccole comprese, a cui si devono aggiungere i voli intercontinentali. Le crociere sugli yacht hanno prezzi sensibilmente più alti a seconda dell’imbarcazione, dalla vela alla nave da crociera da 100 posti. La via di mezzo, come nel viaggio descritto, è rappresentata dagli yacht medi. Nel nostro caso la Sea Star, 42 metri arredamento e interni rifatti recentemente, solida e robusta con un look molto classico, con 8 comodissime cabine di cui 4 con balcone esterno, un grande salone, tre ponti e tutte le attrezzature necessarie per le attività marine (anche  per le immersioni) e le escursioni. L’atmosfera è quella di una crociera con un gruppo di amici con cui si condivide tutto, vivendo l’aspetto più selvaggio dell’arcipelago e trascurando le città.

La Sea Star Cruises (www.galapagosseastarjourney.com) propone tre crociere in tre diverse aree dell’arcipelago. Crociera A: 6 giorni in mare per visitare le isole San Cristobal, Espanola, Floreana, Santa Fé, South Plaza, North Seymour, Santa Cruz e Mosquera. Crociera B: 5 giorni in mare visitando Baltra. Santa Cruz, Sombrero Chino, Genovesa, Bartholomew, Santiago. Crociera C: 5 giorni in mare per visitare Baltra, Santa Cruz e la Charles Darwin Station, Isabela, Fernandina, Santiago e San Cristobal. Prezzi da 4.399 dollari americani (il dollaro è la moneta ufficiale dell’Ecuador) a persona. C’è anche il pacchetto A+B+C. Per ogni informazione: www.tour2000.it; tel.071-2803752

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