di Pasquale Tridico*

La ricerca di un accordo di contrattazione è alquanto difficile per diversi motivi. Primo perché l’accordo deve essere condiviso tra tre attori: governo, sindacato e parte industriale. Poi perché questi attori, molto spesso, al loro interno hanno opinioni divise e infine perché c’è molto disaccordo teorico e molta divergenza negli studi empirici rispetto alla relazione tra produttività e accordi di contrattazione.

Proprio per questo motivo si sta affermando recentemente una nuova tendenza, che parte innanzitutto dalla constatazione che la produttività non è esogena ma dipende dalla domanda. Questo significa una cosa ben precisa: la produttività dipende da investimenti, composizione settoriale e altri fattori di contesto socio-economici (quali infrastrutture, servizi, istituzioni, ecc). Seguendo questo approccio, che si rifà ad economisti come John Maynard Keynes, Nicholas Kaldor o Sylos Labini, potrebbe essere utile persino aumentare i salari piuttosto che ridurli. Anzi, la riduzione dei salari, spingerebbe le imprese verso la facile scelta di intensificare gli investimenti labour intensive, sfruttando il più basso costo del lavoro, piuttosto che la scelta di investire in investimenti capital intensive, quindi in nuove tecnologie che porterebbero a maggiori guadagni di produttività. Nel lungo periodo, la riduzione dei salari potrebbe quindi portare a più bassi livelli di produttività.

Seguendo tale approccio, potrebbe essere molto utile fissare la produttività del lavoro in termini di obiettivi programmatici, come se si trattasse di una variabile parametrica tipo l’inflazione o il tasso di interesse.

Fissare la produttività in termini programmatici, tuttavia, costringe gli attori di cui sopra a mantenere gli accordi, a fare i necessari investimenti in innovazione, a migliorare il capitale umano, a migliorare le infrastrutture e l’organizzazione delle imprese, a potenziare l’amministrazione pubblica e i servizi alle imprese, a diminuire i costi di transazione, e ad aumentare l’efficienza del lavoro. In questo modo tutti i fattori che contribuiscono a determinare la produttività sono messi in azione per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Fissare un livello di produttività infatti ha una valenza distributiva, cara ai sindacati; rappresenta un incentivo per le imprese a fare investimenti tecnologicamente avanzati; ed è allo stesso tempo una disciplina per lo Stato e le sue amministrazioni per migliorare le infrastrutture di sostegno alle imprese, per raggiungere maggiori obiettivi di sistema e quindi maggior reddito utile anche per le casse dello Stato. In questo “gioco cooperativo”, tutti gli attori hanno allo stesso tempo incentivi e guadagni. E tutti hanno perdite commisurate, quindi sanzioni se non si rispettano gli accordi e se non si raggiungono gli obiettivi prestabiliti.

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* Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Economia. Indicato da Luigi Di Maio come ministro del Lavoro di un governo 5 stelle

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