La tendenza è sotto gli occhi di tutti gli utenti dei social network: Facebook sembra essere in declino, per colpa di scandali sull’utilizzo dei dati personali e un criticatissimo algoritmo che rende i post – più quelli delle pagine che dei profili personali – visibili a un numero ridottissimo di persone, a meno che gli amministratori delle pagine stesse non siano disposti ad attivare promozioni a pagamento. Dall’altro lato, Instagram – che (giova ricordarlo) è comunque stato acquisito da Facebook da alcuni anni – va alla grande, grazie anche alla popolarità delle stories, i contenuti “usa e getta” che scompaiono dopo 24 ore.

Pur non avendo ancora grandissimi numeri in assoluto, però, la piattaforma in maggiore ascesa sembra invece essere Musical.ly, che permette agli utenti di registrare brevi video di playback di canzoni o altri suoni.

Ecco: la musica. Forse il motivo del successo di Musical.ly è che Instagram è principalmente legato alla condivisione di immagini e video e l’elemento audio è trascurato; o meglio, lo era fino ad oggi. È freschissima, infatti, l’indiscrezione che le stories di Instagram potranno presto avere una colonna sonora; il sistema sarà in grado addirittura di riconoscere automaticamente la canzone che l’utente sta ascoltando e fargli scegliere se incollare una sorta di “music sticker” alla storia stessa.

Dal punto di vista dell’autore indipendente cosa cambia? Economicamente, mi verrebbe da dire, non moltissimo. Anche se, come è ovvio, l’operazione di Instagram è totalmente legale e svolta in accordo con le maggiori case discografiche e collecting society, i proventi degli streaming gratutiti – che sono il servizio concettualmente più vicino – sono trascurabili anche per chi colleziona grandissimi numeri. Idealmente, questo sistema potrebbe avere il merito di far conoscere al grande pubblico dei nuovi autori che vengono promossi dal passaparola degli utenti.

In realtà, sappiamo bene che buona parte dei “fenomeni virali” a cui assistiamo sono frutto di strategie di marketing mirate e relativi investimenti. E il gruppo Facebook/Instagram è stato (ancora una volta) bravissimo a riciclarsi e ad offrire agli investitori un modo nuovo di spendere denaro in promozione social. Più che altro, la profilazione dell’utente raggiunge una tridimensionalità mai vista: il sistema sa che musica ci piace non solo astrattamente perché abbiamo messo like a una pagina o condiviso un video, ma concretamente a seconda di quante volte abbiamo ascoltato questa o quella canzone. In altre parole, nel momento in cui è sotto attacco per la gestione dei dati personali, la “piattaforma unica” si inventa un altro, geniale modo per acquisirne di nuovi. Inquietante? Sicuramente sì. Avrà successo? Mi sento di dire di sì con altrettanta sicurezza, specialmente presso il pubblico dei più giovani.

C’è chi argomenta (non senza ragione) che la battaglia per la difesa dei nostri dati e della privacy è già persa nel momento in cui ci iscriviamo a un social network. Per chi fa musica e per chi ascolta con orecchio attento, l’unica consolazione è che (probabilmente) sarà ancora più facile distinguere gli artisti del mondo reale da quelli virtuali, creati a tavolino e destinati a scomparire al prossimo aggiornamento di Instagram.

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