“Compare Nino” lascerà le carceri slovacche e sarà estradato in Italia dopo essere stato arrestato, nelle settimane scorse, nell’ambito di un’indagine antidroga coordinata dalla Procura di Venezia. La decisione, in merito all’imprenditore calabrese Antonino Vadalà, è stata presa dai procuratori slovacchi che hanno accolto la richiesta dei pm italiani. Originario di Bova Marina, in provincia di Reggio Calabria, Vadalà è rimasto coinvolto nell’inchiesta che ha fatto luce su un’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti e aggravata dal favoreggiamento della ‘ndrangheta.

Il nome di Vadalà, infatti, era finito nella rete della Procura di Venezia assieme ad alcuni soggetti, legati alla ‘ndrangheta, che grazie a canali commerciali leciti riuscivano importare cocaina dal Sudamerica all’interno di carichi di frutta. Ritornando alla sua estradizione, contro la quale Vadalà non ha fatto ricorso, l’ufficio del procuratore regionale di Kosice ha emesso venerdì la decisione di eseguire il mandato d’arresto europeo. Per il portavoce della Procura slovacca, Milan Filicko, “la scadenza legale per la consegna della persona alle autorità competenti italiani è fra 10 giorni”.

Prima di essere arrestato su richiesta della Procura di Venezia, la polizia slovacca lo aveva fermato e rilasciato perché sospettato di essere coinvolto nell’omicidio del giornalista Jan Kuciak, assassinato a febbraio assieme alla sua fidanzata, proprio mentre lavorava a un’inchiesta sui legami tra la politica e la ‘ndrangheta. Vadalà ha sempre negato le accuse e, per mancanza di prove, è stato rilasciato dopo qualche giorno. Tuttavia, l’omicidio del giornalista ha scatenato nel Paese una crisi politica, con decine di migliaia di manifestanti che sono ripetutamente scesi in strada per protestare e diversi membri del governo che hanno lasciato l’incarico. A marzo, infatti, si è dimesso il ministro dell’Interno slovacco, Robert Kalinak, e la pressione delle proteste ha costretto infine alle dimissioni il premier Robert Fico e il suo governo.

Figlio di Giovanni Vadalà detto “Cappiddazzu”, Antonino Vadalà è conosciuto negli ambienti della criminalità organizzata calabrese con il soprannome di “compare Nino”. Poco più che ventenne, secondo gli investigatori, si è ritagliato il ruolo di collante tra la cosca Zindato di Reggio Calabria (legata alla famiglia mafiosa dei Libri) e i clan di Bova Marina.

All’inizio degli anni duemila, infatti, Nino Vadalà e i suoi fratelli Bruno e Sebastiano erano stati coinvolti nell’inchiesta “Casco” con l’accusa di aver favorito la latitanza di Domenico Ventura, oggi condannato all’ergastolo per omicidio.  Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali, infatti, gli inquirenti non solo scoprirono il rapporto tra il boss Checco Zindato e “compare Nino” ma anche che quest’ultimo si sarebbe messo a disposizione della cosca Libri che aveva necessità di trovare un alloggio a Bova Marina in modo da far trascorrere un “tranquillo soggiorno all’ospite” latitante.

Era il periodo in cui Vadalà non indossava ancora la giacca e la cravatta per presentarsi nei paesi dell’Est come un imprenditore italiano di successo. Basta pensare che, secondo gli investigatori, “compare Nino” avrebbe partecipato, assieme a un pezzo da novanta della cosca Libri, Filippo Chirico, a “una spedizione punitiva consumata per conto dell’organizzazione, ai danni di un soggetto, rimasto sconosciuto, che risiede presumibilmente a Roma”.

Passano gli anni non il contesto. Nel 2014, infatti, la Guardia di finanza riesce a sapere di un incontro tra indagati che sarebbe avvenuto a San Fioriano, in provincia di Lodi. Un summit, per discutere di una fornitura di cocaina, al quale – è scritto in un’informativa – avevano partecipato, quali possibili acquirenti e finanziatori dello stupefacente, anche Palamara Giovanni e tale Vadalà Antonino”.

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