Sei milioni e mezzo di abitanti in meno. Come se le province di Milano, Torino e Bologna sparissero in un istante. È la previsione fatta dall’Istat per il 2065: fra 47 anni la popolazione italiana sarà di 54,1 milioni, contro gli oltre 60 dell’anno scorso. Non si inverte, quindi, il trend negativo confermato dal saldo fra nascite e morti degli ultimi anni (-183mila nel solo 2017). In compenso la vita media arriverà a 86,1 anni per gli uomini e 90,2 per le donne, sfondando per la prima volta il tetto dei 90.

L’istituto di statistica ha pubblicato il report sul futuro demografico del Paese. Le future nascite, stando alle proiezioni, non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi: nel 2024 il saldo tra morti e nati sarà negativo di 200mila unità. Poi il quadro andrà via via peggiorando: nel 2044 la differenza arriverà a quota 300mila, nel 2053 a 400mila. Previsto invece un rialzo della fecondità, da 1,34 a 1,59 figli per donna nel periodo 2017-2065, ma “l’incertezza aumenta lungo il periodo di previsione”, ammette l’Istat.

Lo studio certifica anche il futuro spopolamento del Mezzogiorno in favore del centro-nord del Paese. Se oggi le Regioni dall’Emilia Romagna in su accolgono il 66 per cento degli italiani, nel 2065 i residenti saranno il 71 per cento. Le probabilità che la popolazione del Sud possa aumentare rispetto a oggi secondo l’Istat sono pari a zero. Anche nel centro-nord, in realtà, lo scenario non è dei migliori. Dopo i primi trent’anni di crescita, dal 2045 il saldo dei cittadini sarà sempre negativo.

Il contributo del saldo migratorio, cioè la differenza tra immigrati in Italia e italiani che emigrano all’estero, nel 2065 sarà positivo per 2,6 milioni. La proiezione si basa comunque su ipotesi soggette a forte variabilità: “È opportuno ricordare”, scrive l’Istat, “che i flussi migratori con l’estero sono contrassegnati, assai più delle altre componenti demografiche, da profonda incertezza riguardo al futuro. Le migrazioni internazionali sono infatti governate da una parte da normative suscettibili di modifiche, dall’altra da fattori socioeconomici interni ed esterni al Paese di non facile interpretazione. Si pensi, ad esempio, alla pressione migratoria esercitata nei Paesi di origine per via delle condizioni politiche, ambientali, sociali e demografiche, alle politiche di accoglienza e integrazione degli immigrati, alla modulazione del mercato del lavoro in Italia, al possibile incremento dell’emigrazione di cittadini residenti in Italia”.

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