di Luca Michelini

1. Vorrei proporre alcune brevi riflessioni sull’articolo di Beppe Grillo Società senza lavoro, pubblicato sul suo blog il 14 marzo 2018.

Le mie non vogliono essere riflessioni politiche e sono svolte per cercare di spostare il tenore della discussione che l’informazione sta cercando di imprimere a questa tematica. Basti dire che il Corriere della sera del 16 marzo (con un articolo di Pierluigi Battista) taccia Grillo di utopismo e di marxismo, onde meglio sottolineare il carattere “estremo, anzi estremista”, in ultima analisi totalitario – “si sa che nella storia molto spesso le utopie paradisiache hanno generato molti inferni totalitari terreni” – del pensiero del fondatore del Movimento 5 stelle e per sottolineare la netta torsione a sinistra che Grillo vorrebbe imprimere al movimento (niente aperture alla Lega, dunque).

Per quanto la linea editoriale del Corriere della sera sia mutata con il cambio di proprietà, è però opportuno ricordare che il quotidiano milanese ha avuto un ruolo fondamentale nel definire il cosiddetto “liberismo di sinistra”, cioè l’ideologia portante del Partito Democratico. E questo ruolo lo ha giocato ben prima che questo partito venisse preso in mano da Matteo Renzi. Il neo-liberismo del maggior partito della cosiddetta sinistra italiana si definisce, infatti, già negli anni Novanta e ha avuto nell’ex-classe dirigente del Pci un protagonista di primo piano. Credo dunque sia opportuno commentare la riflessione di Grillo per quello che vuole essere: una riflessione meta-politica, anche se alla politica in ultima analisi vuole essere rivolta.

2. Il ragionamento di Grillo penso possa essere suddiviso in due parti.

La prima che considero è quella racchiusa nella chiusura del suo testo, ove si legge: “Una società evoluta è quella che permette agli individui di svilupparsi in modo libero, generando al tempo stesso il proprio sviluppo. Per fare ciò si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza: un reddito, per diritto di nascita. Soltanto così la società metterà al centro l’uomo e non il mercato.”

Il ragionamento si caratterizza per il fatto che invita a considerare la proposta non dal punto di vista tecnico, ma come un nuovo diritto naturale. Non è, dunque, in prima battuta, un problema di finanza pubblica o di incentivi individuali al lavoro e alla produttività. Non si tratta di escogitare l’equilibrio possibile tra risorse da destinare al reddito di cittadinanza e i vincoli di sistema: quelli internazionali legati al debito pubblico, quelli legati al bilancio dello stato, infine quelli legati alle ricadute sul mercato del lavoro.

3. Potrebbe sembrare che questa sorta di diritto naturale nella società oggi esistente sia una novità assoluta. Cioè potrebbe sembrare che nell’Italia di oggi non vi siano redditi garantiti per nascita e dunque garantiti a prescindere dal lavoro svolto da chi il reddito lo percepisce.

Ebbene non è affatto così. Tutti gli individui, infatti, nascono in determinate famiglie. E queste famiglie garantiscono di fatto un reddito individuale naturale ai nascituri. Certo: Grillo implicitamente invita a considerare il reddito naturale, un reddito garantito dallo Stato. Le famiglie, invece, sono a prima vista un fatto del tutto privato. Se però andiamo a fondo della questione, ci accorgiamo che così non è. E non lo è nemmeno per quelle famiglie che non devono le proprie entrate ad imprese cosiddette private.

La mole dei dipendenti pubblici esistenti; la mole dei servizi resi dallo Stato a tutti i cittadini, anche ai non dipendenti pubblici; la molte delle leggi dello Stato che garantiscono un certo diritto ereditario, cioè una determinata forma di passaggio della ricchezza privata all’interno della famiglia: sono altrettante forme attraverso le quali lo Stato (direttamente o indirettamente) garantisce un reddito naturale ai cittadini italiani e – più in generale – a tutti coloro che in Italia (anche se non ne sono cittadini) usufruiscono dei servizi e delle leggi.

In tutti questi casi siamo di fronte a redditi garantiti per diritto di nascita e che non hanno alcun legame con il lavoro svolto dall’individuo che percepisce (direttamente o indirettamente) il reddito.

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