C’è un’altra vittima da aggiungere all’elenco degli escursionisti morti sulle Alpi svizzere. Nel tardo pomeriggio è morta una donna italiana di 42 anni che si trovava in gravi condizioni in un ospedale del Canton Vallese. Si tratta della sesta vittima italiana a cui si aggiunge la scialpinista bulgara. Tutti uccisi da una tempesta perfetta, nella quale sono morti assiderati un gruppo di scialpinisti. “Hanno cambiato percorso nella speranza di raggiungere il rifugio de Vignettes ancora con il bel tempo, ma a 500 metri dalla meta sono rimasti bloccati dal maltempo”, ha raccontato Giovanni Paolucci, fratello di Betti, una delle tre vittime bolzanine. La settima vittima, Francesca Von Felten, 42 anni, era originaria di Parma. Socia del Cai di Parma, la sua è una famiglia di imprenditori dell’agroalimentare, persone descritte anche come appassionate di montagna. Appena saputa la notizia, alcuni amici hanno organizzato una veglia di preghiera in città. Il marito in giornata l’aveva raggiunta in Svizzera. Lascia due figli.

A due giorni di distanza la dinamica della tragedia, che si è consumata sulla Pigne d’Arolla, è più chiara, anche se alcune domande resteranno probabilmente senza risposta per sempre. La perturbazione era preannunciata da tempo e così la guida alpina Mario Castiglioni ha optato per una tappa più breve lungo l’Haute Route, l’itinerario scialpinistico che collega Chamonix con Zermatt, ripiegando su un rifugio più vicino. “800 metri di dislivello in salita e 1.000 in discesa non sono davvero tanti”, conferma Giovanni Paolucci che come la sorella è uno scialpinista esperto. “Il problema – aggiunge – è stato però la quota, visto che il punto massimo si trovava a 3.800 metri, che mi sembra un po’ tanto”. Pare che altre comitive abbiano raggiunto il rifugio percorrendo un itinerario apparentemente più semplice. Non usa mezzi termini Tommaso Piccioli, uno dei sopravvissuti (nella foto): “Era una gita difficile non da fare in una giornata dove alle 10 sarebbe iniziato il brutto tempo non era neanche da pensarci“, dice. Inoltre, aggiunge, il gps dello smartphone della guida alpina non sarebbe stato adeguato per l’alta montagna.

La polizia svizzera ha confermato ai familiari, accorsi a Sion per il triste compito del riconoscimento delle salme, che tutti gli scialpinisti erano ben equipaggiati. “Se a quella quota vieni sorpreso da una tempesta con raffiche di 100 km/h non hai chance”, spiega il fratello di Betti. “Quando ti trovi nel whiteout, una sorta di nebbia di neve e vento gelido fortissimo, non c’è colpa, perché non si vede più niente”, conferma Reinhold Messner. In queste condizioni ogni passo può diventare una trappola mortale, come infatti è accaduto a Castiglioni, precipitato e morto nel tentativo di individuare l’itinerario verso il rifugio. Il gruppo, già stremato dalla fatica e dal freddo, è così rimasto senza guida. Sul pendio roccioso non hanno neanche potuto scavare una buca nella poca neve per mettersi al riparo.

Nel frattempo è arrivato il nulla osta per il rientro delle salme, previsto però solo nei prossimi giorni. L’inchiesta delle autorità svizzere “è ancora in corso” e per ora “non vi sono ipotesi di reato: è stato semplicemente aperto un fascicolo per determinare le circostanze dei decessi”, informa Nicolas Dubuis, procuratore generale del Cantone Vallese. Il Codacons chiede invece in un esposto alla procura di Roma di “indagare alla luce della possibile fattispecie di concorso in omicidio colposo plurimo”. La giunta comunale di Bolzano ha osservato un minuto di raccoglimento per le vittime bolzanine della tragedia. Il sindaco Renzo Caramaschi ha ricordato in particolare Marcello Alberti, componente del collegio dei revisori dei conti del capoluogo altoatesino.

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