Dovevano entrare in vigore alle 6 del mattino (ore italiane) del primo maggio. Ma la Casa bianca, con una mossa dell’ultimo minuto, ha annunciato una proroga di 30 giorni. I dazi sull’alluminio e l’acciaio importati dall’Europa saranno operativi dall’1 giugno, a meno che Usa e Ue nel frattempo non riescano a trovare un accordo. L’estensione delle trattative riguarda anche il Canada e il Messico, con i quali Donald Trump si è impegnato a rivedere il trattato di libero scambio del Nafta. Non si è fatta attendere la risposta ufficiale della Commissione europea: “L’Ue ha indicato la sua disponibilità a discutere le questioni di accesso al mercato di interesse, ma ha anche chiarito che, come partner e amico di lunga data degli Usa, non negozierà sotto minaccia“, si legge in una nota. “Qualsiasi futuro programma di lavoro transatlantico deve essere equilibrato e reciprocamente vantaggioso”.

L’obiettivo degli Usa – La mossa del presidente Trump, che di fatto posticipa di un mese un’eventuale guerra commerciale con gli alleati d’oltreoceano, ha l’obiettivo di aprire un tavolo di trattative con l’Unione per ottenere nuovi vantaggi. Quali? Ad esempio un abbassamento delle tasse previste per alcuni prodotti Made in Usa, come le automobili. Il deficit commerciale degli Stati Uniti con l’Europa è aumentato dai 17 miliardi di dollari del 1997 ai 151,4 miliardi del 2017. E la colpa è quasi tutta delle importazioni dalla Germania: solo lo scorso anno gli Usa hanno acquistato oltre cento miliardi di prodotti Made in Germany (il 27 per cento dell’import totale dall’Ue). Con l’introduzione dei dazi del 25 per cento sull’acciaio e del 10 sull’alluminio acquistati dall’Europa, Trump vorrebbe porre un freno a questo squilibrio. E favorire la produzione interna. Un progetto che può essere fermato solo se l’Ue cederà ad alcune richieste avanzate dalla Casa bianca.

La risposta dell’Europa – Il nuovo ultimatum stabilito da Washington per l’1 giugno prossimo non è stato accolto con favore dagli Stati dell’Unione. Già a marzo, quando Trump aveva annunciato al mondo la sua volontà di introdurre dei dazi per proteggere l’industria americana, la Commissione europea si era detta pronta a reagire. Come? Con una contro-lista di prodotti Usa da tassare per un valore di circa 2,8 miliardi di euro (dai jeans Levis alle moto Harley Davidson, fino al burro di arachidi, alle sigarette e al bourbon), con un blocco dell’import di acciaio statunitense e con il ricorso formale al Wto. Posizione ribadita dall’asse anglo-franco-tedesco prima dell’annuncio della proroga: “Gli Usa non devono prendere alcuna misura commerciale contro l’Europa, altrimenti l’Ue sarà pronta a difendere i propri interessi nel quadro delle regole del commercio multilaterale”, si legge nel comunicato rilasciato da un portavoce di Berlino dopo una telefonata avvenuta il 29 aprile fra il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera tedesca Angela Merkel e la premier britannica Theresa May. Parole che hanno fatto eco all’intervento su Twitter del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani: “Ci aspettiamo che Trump escluda l’Ue dalle tariffe una volta per tutte. Qualsiasi altra decisione danneggerebbe entrambe le parti, non lasciando altra scelta che adottare delle contromisure“. Uno scenario, quello di uno scontro diretto fra Usa ed Europa, che può avere gravi effetti anche in Italia: secondo Coldiretti, l’escalation metterebbe a rischio 40,5 miliardi di export Made in Italy.

Il fronte con la Cina – Se l’Europa sta ancora trattando per evitare uno scontro diretto con Washington, c’è già chi sta fronteggiando Trump a colpa di dazi e contro-dazi. È la Cina, che all’inizio di aprile si è appellata direttamente al Wto per protestare contro le tasse sull’acciaio e l’alluminio volute dagli Usa. Decisione arrivata dopo l’ennesima minaccia della Casa bianca di imporre nuovi dazi per oltre 100 miliardi di dollari. Tutto questo nonostante la contrarietà di alcuni deputati repubblicani e il rischio che la vicenda possa avere un impatto negativo sulle elezioni di mid-term. È una guerra commerciale vera e propria, quella iniziata lo scorso marzo tra Washington e Pechino, che l’Europa vuole evitare a tutti i costi.

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