Blocco delle consegne, picchetti contro i “crumiri” che sceglieranno di lavorare, turni cancellati all’ultimo minuto per mettere in difficoltà le piattaforme del cibo a domicilio. Dopo l’assemblea del 15 aprile scorso, che al circolo Labàs di Bologna ha riunito per la prima volta i ciclofattorini di tutta Italia per la “prima Internazionale dei riders, ora si passa all’azione. Per Foodora, Deliveroo, Just Eat sarà un Primo maggio rovente: in occasione della festa dei lavoratori i freelance delle consegne a domicilio scenderanno in strada in contemporanea a Milano, Bologna e Torino con una critical mass e tanto di istruzioni per il primo “logout collettivo”, lo sciopero generale, che per i lavoratori digitali della gig economy vuol dire disconnettersi, per 24 ore, dalle app.

“Non metterti a disposizione, togli la geolocalizzazione e vieni in corteo vestito da fattorino”, chiama alle armi il collettivo milanese Deliveroo Strike Raiders, che dà appuntamento davanti alla Stazione centrale alle 14.30. “Prenota il turno e sloggati all’ultimo momento con una scusa o rifiuta tutte le consegne oppure mangiati gli ordini dicendo che si sono compromessi durante il trasporto”. Fino ad arrivare ai picchetti, per impedire ai colleghi che non hanno aderito allo sciopero di completare le consegne nei ristoranti.

Forme di resistenza 2.0, organizzate dal basso, per rivendicare lo status di lavoratori dipendenti e abolire la paga a cottimo, pretendere una copertura sanitaria in caso di incidenti e attrezzature adeguate come bici ed elmetti e rifiutare la dittatura del rating, la valutazione delle prestazioni dettata dal software. Ma perché sulla “questione riders” si formi una coscienza collettiva è necessario allargare il perimetro della protesta. Ecco allora che l’invito al boicottaggio si rivolge anche ai clienti: “Per il primo maggio cancella l’app dal tuo smartphone”, si legge nel decalogo dello sciopero del primo maggio, “non ordinare pasti con Deliveroo, Glovo, Foodora, Just Eat o Uber Eats”. In tempi di “digital working” va bene anche sferrare un attacco sui social, scrivendo “sulla bacheca delle aziende lamentando l’assenza di diritti dei lavoratori sui loro profili social, queste società, infatti vivono di marketing e di reputazione digitale”.

“Ad esser precari ci sarebbe poco da esser felici, ma abbiamo deciso di fermarci, non pedalare e goderci questa giornata perché siamo stanchi di essere invisibili”, fanno eco dall’Emilia i colleghi bolognesi del sindacato autonomo Riders Union. Il mese scorso, insieme all’amministrazione comunale e alle sigle sindacali, hanno prodotto una Carta dei diritti che le piattaforme digitali dovranno sottoscrivere se vorranno continuare a operare a Bologna. Comunque, per il primo maggio, mentre i confederali Cgil, Cisl e Uil saliranno sul palco di piazza Maggiore per il consueto parterre di dibattiti, i ciclofattorini saranno in strada sui pedali a tempo di musica: una “May Day Parade contro la schiavitù dell’algoritmo, aperta tutti, perché il precariato non è solo quello di chi corre in bici per consegnare una pizza, ma una “malattia” diffusa.

“Come noi, anche tanti altri lavoratori e lavoratrici sono privati di diritti e dignità nei loro lavori sottopagati, precari, sfruttati. Le scuse sono tante: dai falsi tirocini formativi alle promesse di un contratto stabile che non arriva mai”. E infatti anche i riders torinesi, in piazza Vittorio dalle 9, faranno fronte comune con il variegato popolo “di chi è costretto ad accettare paghe da fame e condizioni di lavoro pessime pur di lavorare”: operatori scolastici, dottorandi senza borsa di studio, laureati costretti a lavorare gratis nei musei pur di costruirsi un curriculum. Tutti insieme, cavallo di battaglia #siamoindisponibili. Insomma, la guerra al silenziatore è finita. Per il primo maggio “il quarto stato” dei lavoratori, quelli della gig economy e del lavoro frammentato, delle false partite iva e del precariato, farà da sé. Senza i sindacati, alza la voce e si slogga.

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