Open day è il solito anglicismo per indicare il modo in cui le scuole fanno la propria promozione, aprendosi per una giornata ai possibili “utenti” esterni. Solo una delle trovate della (d)istruzione in atto da quando, attraverso le varie cosiddette riforme, si è dovuto far spazio alla pervadente mentalità imprenditoriale, anzi manageriale. In breve, le scuole devono fare “orientamento”, cioè imparare a proporsi per meglio vendersi.

In anni di drammatica contrazione demografica è facile scivolare nella svalutazione, lo sbracamento dal punto di vista della selettività con svilimento del ruolo dei docenti, costretti a inventarsi di tutto per cercare di mantenere gli organici. Con la didattica in estremo subordine. Tali novità non risparmiano gli insegnanti delle scuole carcerarie, tenuti a cercarsi proseliti tra la popolazione detenuta anche attraverso questi open day. Tuttavia, l’insopprimibile creatività connaturata in ogni essere umano, tanto più se trattasi di donne e colte, fa sì che le mie colleghe di Rebibbia riescano a trasformare in positivo queste occasioni, generando eventi straordinari.

Si ribalta il triste cliché del carcere come ricettacolo di reietti di tutte le specie e si mette a frutto la varietà etnica per valorizzarne l’insita ricchezza culturale, amplificata anche attraverso la commistione.
E così eccolo, sul palco del teatro interno, il romanaccio di cognome e origini marocchine che legge Dante; il Sirtaki, danza tradizionale greca, ballato da un attentissimo narcotrafficante sudamericano e il corrispettivo serbo; il tango argentino della professoressa con lo studente moscovita dallo sguardo maledetto dai begli occhi azzurri; lo slavo-napoletanissimo con la bella trans argentina che leggono il Don “Chihott” spagnolo; l’anziano truffatore romano che si cimenta con un brano di Chatwin; la toccante poesia scritta e recitata dal trans romano, piena di riferimenti e ringraziamenti sul ruolo della scuola in carcere, non senza un sottile tocco d’ironia.

Se non fosse bastato l’ossimoro dell’open day dentro le sbarre, il tema scelto a fare da filo conduttore dei vari interventi è stato il viaggio, il ché suona come corda in casa dell’impiccato laddove la prima ad essere compressa è proprio la libertà di circolazione. Si è dimostrato, una volta di più, che se è possibile imbrigliare il corpo, con la mente si possono inventare, e vivere, percorsi fantastici. Le varie discipline di studio passano, eccome, attraverso l’approccio inventivo, dinamico e coinvolgente delle professoresse: l’italiano dei classici, la geografia economica, ovviamente le lingue, persino la matematica di Einstein trova un viatico. Notevoli i contributi esterni, come l’ematologo che ha disquisito sull’inesistenza delle razze o i bravissimi tangheri di una scuola di ballo romana.

Sullo sfondo, letture, musiche, proiezioni di grande impatto, come quel pezzo del film rumeno Train de vie in cui due comunità, zingari e ebrei, si sfidano in danze scatenate al suono di strumenti tradizionali. Come disse il grande rocker Andy Summers, c’è più energia in un singolo violino gitano che in un’intera band inglese. Subito dopo, colpo di scena: dalle luci abbassate partono magiche note di una fisarmonica. È un giovane zingaro, manco a dirlo, di una bravura sconcertante, che improvvisa un duo con un trombettista romano.

Ho saputo poi, chiedendo conto di simile talento, che da libero aveva avuto il privilegio di studiare in uno dei migliori conservatori francesi ed è stato più volte insignito di importanti premi internazionali. È in carcere per omicidio, non va dimenticato. Vale forse la pena ribadire una volta di più la funzione della scuola: per lui, come per tutti gli studenti detenuti, ben al di là dei trascorsi e delle condanne riportate, siamo lì o offrire opportunità alternative, lontane da quelle degli ambienti di origine, per un migliore impiego del tempo di espiazione della pena, che è vita da vivere giorno per giorno, crescendo, non nella mera attesa della scarcerazione, visto che nessuno mai rimetterà indietro le lancette e restituirà gli anni passati. Revisione critica, riabilitazione, reinserimento sociale, auspicabilmente con abbattimento della recidiva: questo ci chiedono le leggi vigenti, l’ordinamento e sopra tutto la nostra amata Costituzione.

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