“Matteo dice ai suoi”. In questa fase post-elettorale che assomiglia a una serie tv con una sceneggiatura di massima, nella quale le singole puntate hanno un inizio definito e un finale aperto, la frase sembra un déja-vu. “Matteo” in questo caso è Salvini, i “suoi” non sono ben identificati. In attesa di vedere come va a finire, il leader del Carroccio in ascesa continua pare aver ereditato dal suo omonimo decaduto a senatore di Scandicci una serie di pregi e difetti. Con un rebus da risolvere: come consolidarsi ed espandersi, senza perdere la sua carica di rottura?

Salvini sta in politica da sempre (e quindi ne conosce le regole), ma prova a giocare il ruolo del leader nuovo; è a capo di un partito strutturato come la Lega, ma intanto cerca di prendersi l’eredità di Forza Italia, con tutti i rischi del caso: altro elettorato, altra ragione sociale, altre dinamiche; vorrebbe fare il governo, ma sa pure che gli conviene fino a un certo punto: con Matteo Renzi è impossibile, con i Cinque stelle sarebbe una partnership dalla quale rischia di uscire annacquato; vuole fare l’opposizione, ma sa bene che il governo logora chi ce l’ha ma anche chi non ce l’ha.

Per ora, dunque, si rifugia in quella che fu la specialità dell’altro Matteo: la campagna elettorale permanente, tra comizi di rottura, dichiarazioni improvvise dai toni moderati, retroscena sui giornali, post Facebook d’impatto, continui cambi di registro, uscite che paiono colpi di scena e contraddicono quelle precedenti, disfide a tutti, a partire da Sergio Mattarella. Aspettando di vedere se per caso tutto questo si rivelerà una strategia vincente, la domanda sorge spontanea: “Sicuro sicuro” (cit.) che l’eccesso di tattica non sia pericoloso?

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