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Di Maio e Salvini, come i pifferi di montagna. Andarono in Molise per suonare e furono suonati – L’istantanea

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Ecco finalmente il Molise. Lo aspettavano, molto oltre il senso della misura, sia Salvini che Di Maio. Avrebbe dovuto regolare i rapporti di forza, per l’uno nel centrodestra e per l’altro nel Parlamento. Il voto regala ai due vincitori delle politiche due sonori ceffoni. Il centrodestra vince, ma deve ringraziare Aldo Patriciello, l’imprenditore della sanità titolare di un partito transumante che ogni cinque anni sceglie con chi transitare al traguardo.

Salvini che voleva fare le scarpe a Berlusconi, arriva terzo senza un voto in più. Amen. E Luigi Di Maio prova sulla sua pelle cosa significhi mettere giacca e cravatta al movimento e imbarcarlo in trattative infinite, fargli poggiare i piedi nella palude della prima Repubblica.

I Cinquestelle dovevano vincere, potevano avere il primo governatore regionale e invece eccoli di nuovo al punto di partenza: primo partito ma arretrato di molti punti rispetto alle politiche. Opposizione era e opposizione sarà.

I Cinquestelle perdono soprattutto perchè l’astensione è giunta a un livello record. Metà degli elettori ha rinunciato a votare. In questa moltitudine tanti sono quelli storici del centrosinistra che hanno scelto, a differenza del 4 marzo, di non scegliere, come ultima chance, il Movimento.

Se Di Maio voleva provare i costi della sua spregiudicata tesi dei due forni, l’idea che Lega e Pd siano uguali, che il governo sia una forma neutra sulla quale adagiare ogni possibile alleanza, eccolo accontentato.

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