Weiblich. Donna, femminile, come la politica tedesca o perlomeno come le Parteivorsitzende, presidenti dei maggiori partiti della Germania. Con l’elezione di Andrea Nahles alla guida di SPD, anche il partito socialdemocratico ha, dopo 155 anni di storia, un presidente donna e si allinea con gli altri partiti, la maggior parte guidati, o co-guidati, da una figura femminile. Lo Stato più ricco d’Europa, governato, ormai da 13 anni, dalla Kanzlerin per eccellenza, vede in cinque dei sei maggiori partiti una donna alla guida. Non sarà certo un caso che al congresso socialdemocratico di Wiesbaden, la sfidante di Nahles fosse Simone Lange, sindaca di Flensburg. L’unica formazione politica che ha ancora un uomo alla guida è Fdp, i liberal democratici con il loro leader Christian Lindner. Ma anche qui, se si guarda bene, il segretario generale è ancora una donna, Nicola Beer.

La delfina di Merkel e la populista controversa
Alla guida di Cdu c’è Annegrette Kramp Karrenbauer, leader dei Cristiano Democratici nel piccolo stato francofono del Saarland, dove nel 2017 riuscì a vincere un’elezione difficile e a dare il primo colpo a Martin Schulz. Cinquantacinque anni, da 37 nella Cdu, è considerata leggermente più a destra di Merkel, rigida sull’immigrazione e ultracattolica, si oppose al voto sui matrimoni omosessuali. Famosa la sua frase durante la votazione “non vorrete che si arrivi ai matrimoni tra parenti oppure tra più di due”. Definita come una klein-Merkel (piccola Merkel) per la sua pacatezza, è il compromesso tra coloro che volevano un rinnovamento nel partito e la kanzlerin e il suo desiderio di lasciare un eredità pilotando il suo addio. A proposito di omosessualità, Alice Weidel, che condivide la guida di Afd (Alternative Für Deutschland) con Alexander Gauland, è uno dei personaggi più controversi della politica tedesca. Gay dichiarata, convive da anni con la sua compagna in Svizzera, dove paga le tasse. Sposa in tutto e per tutto la linea dura del proprio partito, opponendosi al matrimonio tra persone dello stesso sesso e all’accoglienza di rifugiati, salvo poi assumere “a nero” una rifugiata come colf. Nega il riscaldamento climatico e sostiene a gran voce l’uscita della Germania dalla moneta unica. Succede a Frauke Petry, colei che ha fatto crescere il partito e che voleva utilizzare i fucili contro gli immigrati regolari.

Bearbock: madre, femminista, ecologista
Eletta insieme a Robert Habeck nell’ondata di rinnovamento che ha investito i Bündnis 90/Die Grünen (Verdi), Annalena Baerbock, 37enne rampante del partito ecologista, ha partecipato alle trattative fallimentari sulla Jamaika Koalition. Ha vinto la presidenza contro Anja Piel dell’ala sinistra del partito. Insieme ad Habeck sta cercando una politica più coesiva all’interno della formazione politica che negli ultimi anni ha sofferto di una guida con due presidenti rappresentanti delle diverse anime del raggruppamento. A favore dell’accoglienza dei rifugiati è anche una femminista convinta. Sostenitrice che il sessismo riguardi sempre il potere e che la linea tra potere e potere sessualizzato sia molto ristretta, ha fatto delle quote rosa un suo cavallo di battaglia. “Con una maggiore percentuale di donne nelle aziende, combatteremo il sessismo di successo. La quota (rosa, nda) garantisce semplicemente più uguaglianza”.

La sinistra e i socialdemocratici ritardatari
A sinistra, nonostante il ritardo socialdemocratico, Die Linke, la formazione che raccoglie le ceneri dell’ex partito comunista della Repubblica Democratica Tedesca, vede come personaggio principale Sarah Wagenknecht, la pasionaria sfidante di Merkel. Alla guida, dal 2012, ci sono Katja Kipping e Bernd Riexinger, che rispettando la tradizione appartengono una alla Germania Est e l’altro a quella Ovest. La Kipping, che si definisce “Marxista femminista”, si batte per la parità salariale tra uomini e donne e ritiene che ci sia bisogno di un femminismo rinnovato che operi “cambiamenti fondamentali nella politica, nella società e nell’economia”. I socialdemocratici sono stati (quasi) gli ultimi ad essere guidati da una donna. Il secondo partito più grande della Germania ha impiegato ben 155 anni ad eleggere un presidente che non fosse uomo, nonostante abbia annoverato tra i suoi membri, dal 1898 al 1918, Rosa Luxemburg. Con la nomina di Andrea Nahles il rinnovamento del partito, almeno sotto il punto di vista della parità di genere può dirsi ad un buon punto, un po’ meno dal punto di vista politico. Nahles, ministro del lavoro nel passato governo di Große Koalition e anima sinistra del partito, ha partorito la legge sul reddito minimo e l’integrazione previdenziale per le donne rimaste a casa ad allevare i figli. Politica di lungo corso, ha prima guidato la formazione giovanile di Spd per poi entrare nel Bundestag nel 1998, dove criticò il governo Spd-Verdi sulla riforma sociale Agenda 2010, di cui è una strenua oppositrice. Avrà il duro compito di ricompattare le fila dopo la sconfitta rimediata a settembre e cercare di riconquistare il voto dell’elettorato di sinistra moderato.

C’è ancora molto da fare
Sebbene i socialdemocratici stiano festeggiando, secondo Bettina Martin, rappresentante Spd nel piccolo Land del Mecklenburg-Vorpommern, nonostante questo rappresenti un notevole passo in avanti c’è ancora molta strada da fare e la vera parità si raggiungerà solo con “il 50% di donne in tutti i livelli del partito”. Al momento all’interno del Bundestag i socialdemocratici hanno solamente il 32% di donne. Certamente una quota maggiore del 26% di Cdu, del 23% di Fdp, del 20% di Csu e del 16% di Afd. Virtuosi solamente Die Linke con il 37% e Verdi con il 39%, il primo partito a guida femminile, nel 1987 con Jutta Ditfurth. La rappresentanza femminile nel Bundestag è attualmente intorno al 36%, per fare un paragone in Italia un terzo dei parlamentari è donna, e fino al 1972 equivaleva solo al 5,8% dei Bundesabgeordnete, cresciuto poi nel 1988 grazie alle “quote” introdotte da Spd e Verdi. Nonostante nei maggiori partiti solo Fdp sia guidato da un uomo, la questione di genere è ancora aperta. Infatti, non si tratta solamente di politica, ma piuttosto di parità salariale. In Germania, la busta paga di una donna è mediamente del 21% inferiore a quella di un uomo, sempre per avere un punto di riferimento, in Italia si attesta al 6,9%.

I Verdi e il ruolo simbolico di Merkel
Se dal punto di vista di un partito come Afd è chiaro quale sia il significato di un presidente donna: nascondere dietro il volto femminile la visione di una società patriarcale e di un partito antiabortista, oltre a sfruttare il femminismo per combattere l’immigrazione e l’immaginario collettivo sull’Islam. Da quello del partito che si pone all’opposto sull’asse politica, Die Linke, una spiegazione può essere dovuta alla percezione delle donne sotto la Repubblica Democratica Tedesca: le donne venivano incoraggiate a partecipare alla forza lavoro e a prendere parte alla vita sociale, pur dovendosi comunque occupare del ruolo casalingo. Da quello dei partiti meno radicali, sia conservatori che progressisti, invece, si è registrato un cambiamento culturale teso a rivalutare il ruolo femminile anche sotto il profilo lavorativo. Una legge introdotta nel 2015, grazie alla spinta di Spd, impone il 30% di rappresentanza per le donne nei board aziendali. Inoltre, escludendo le istanze femministe di cui, fin dagli anni ’80, si è fatto portavoce il partito dei Verdi, Angela Merkel, nonostante non abbia portato avanti grandi riforme sociali sulla questione di genere, ha svolto un ruolo simbolico e catalizzatore per il cambiamento ai vertici degli altri partiti. La probabilità che sia un’operazione di facciata sotto certi aspetti è alta ma in ogni caso negli ultimi 20 anni la Germania è progredita sotto questo aspetto e adesso si attende il cambiamento nella vita quotidiana. Non sarà un presidente di partito a cambiare la società, ma, certamente, è un punto di partenza.

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