Undici minuti per bloccare le vie di fuga, aprire il caveau con una ruspa dotata di martello pneumatico, rubare 8,5 milioni di euro e fuggire tra le campagne. “Un’azione militare programmata e pianificata in ogni dettaglio”, la chiama la procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri che ha fermato 12 persone per l’assalto alla ‘cassaforte’ della società Sicurtransport in località Caraffa. Era la sera del 4 dicembre 2016, quando la “batteria” di Cerignola, capeggiata secondo gli inquirenti da Alessandro Morra e specializzata in colpi di questo tipo, mise a ferro e fuoco la periferia di Catanzaro. Ma se una telefonata anonima, forse fatta da una persona estromessa dal colpo, non avesse fatto saltare il piano, tutto era già pronto nell’agosto precedente.

Il ritardo e l’accordo con la ‘ndrangheta
Secondo la ricostruzione dei pm Paolo Sirleo, Debora Rizza e Domenico Assumma, i cerignolani erano già arrivati in città, coperti dai basisti locali e dal responsabile della sicurezza del caveau, oltre che armati di kalashnikov e tute mimetiche. Ma quella telefonata ricevuta dalla questura di Reggio Calabria e girata a tutti gli istituti di vigilanza calabresi ritardò l’azione. Perché, lo ha svelato una collaboratrice di giustizia legata a uno dei fermati, il basista interno alla Sicurtransport lo aveva saputo e aveva allertato la banda foggiana e i malavitosi calabresi coinvolti nel piano. E non se ne fece nulla, anche se c’era già il lasciapassare della ‘ndrangheta. Un vero e proprio accordo tra le ‘ndrine e i foggiani in trasferta, motivo per il quale è contestata l’aggravante mafiosa: in cambio di denaro, ha spiegato il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto, “hanno autorizzato il colpo”. Per il funzionario dello Sco, Eugenio Masino, “è la prima volta che viene certificata la collaborazione tra clan calabresi e criminali foggiani”.

Tute mimetiche, auto bruciate e chiodi sulla strada
In località Caraffa, alla periferia di Catanzaro, la banda agì come già accaduto ad altre “batterie” foggiane la notte del 25 giugno 2014 nel pieno centro del capoluogo dauno e alcuni mesi prima nel Senese. Undici minuti di azione e una decina auto e furgoni incendiati per bloccare tutti gli accessi isolando la zona. Così iniziò il colpo, condotto da una quindicina di persone vestite con tute mimetiche e passamontagna, dotate di armi pesanti, compresi kalashnikov, e strumenti ad alta-tecnologia. Poco prima delle dieci di sera, la banda arrivò nella sede della Sicurtransport con un camion con carrello, per il trasporto di una grossa ruspa con martello pneumatico e braccio di 3 metri. I malviventi staccarono una centralina telefonica inserendo un dispositivo inibitore di frequenze per disturbare i ponti radio e rendere quasi impossibili le comunicazioni. Solo allora entrò in azione la ruspa che sfondò il muro in cemento armato rinforzato con barre di acciaio del caveau. Fu un’azione rumorosa, tanto che alcuni abitanti della zona parlarono di un botto e di rumori fortissimi che li indussero a barricarsi in casa e a chiamare le forze dell’ordine (ascolta gli audio). E proprio l’intervento della polizia costrinse la banda a lasciare altri 40 milioni depositati nel caveau. Nella fuga, poi, si coprirono la strada lasciandosi alle spalle chiodi a quattro punte per forare le ruote delle volanti.

La testimonianza: “Ecco come è iniziata la rapina”
Le indagini, condotte dai poliziotti delle squadre mobili di Foggia e Catanzaro con il coordinamento dello Sco, hanno conosciuto una svolta quando una collaboratrice di giustizia, legata sentimentalmente ad uno degli organizzatori del colpo, ha fornito agli investigatori riscontri su fatti e circostanze relativi al suo compagno ed al ruolo primario che ha svolto nella vicenda. Ha raccontato agli investigatori, ad esempio, i primi passi per compiere la rapina. Il fidanzato, ha raccontato a fine marzo alla squadra mobile di Catanzaro, “si procurò delle immagini dell’interno del caveau, registrate da con una microcamera nascosta in una penna”. Era giugno 2016, sei mesi dopo la banda entrò in azione. Tutto però era pronto già ad agosto: il rinvio – ha confermato la donna – fu dovuto a una segnalazione anonima fatta alle forze dell’ordine che avvertiva di un colpo imminente in un caveau in Calabria. La telefonata era effettivamente arrivata alla polizia. I rapinatori lo seppero dal basista e tornarono in Puglia per poi ripresentarsi a Catanzaro a inizio dicembre. Subito dopo Capodanno, il trasporto del denaro nel Foggiano. Oltre otto milioni di euro, meno la “stecca” alla ‘ndrangheta, nascosti in un camion di verdura. Di quel bottino, per il momento, sono stati recuperati pochi spiccioli.

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