Meno tasse sul lavoro, maggiore sostegno alle fasce deboli e una costante riduzione del debito pubblico. Da finanziare tagliando la spesa corrente e spostando l’imposizione fiscale su “ricchezze, immobili e consumi“. Per l’ennesima volta da quando il governo Renzi ha eliminato l’Imu sulla prima casa, il Fondo monetario internazionale, dettando le sue ricette per una politica economica sostenibile, chiede all’Italia di spostare il peso del fisco dai fattori produttivi alle rendite. Anche, eventualmente, con una patrimoniale. Sullo sfondo, una cifra che dice molto: nel 2018 la Penisola dovrà rifinanziare un ammontare di debito pari al 20,6% del pil al quale va aggiunto un nuovo disavanzo pari all’1,6%, per un totale che equivale al 22,2% del prodotto interno loro.

Nel 2018 “alcuni paesi – come l’Italia o il Canada – dovrebbero mantenere una politica di bilancio neutrale, per poi riprendere il consolidamento nei prossimi anni”, scrive il Fondo nel suo Fiscal Monitor. Per il nostro paese “la priorità dovrebbe essere l’avvio di un consolidamento fiscale credibile e ambizioso per porre il debito su un solido percorso discendente”. Per farlo occorre mettere in campo diverse misure coordinate: “il taglio della spesa primaria corrente, il sostegno alle fasce più deboli, l’aumento degli investimenti e la riduzione del carico fiscale sul lavoro, con un ampliamento della base imponibile e uno spostamento” verso la tassazione delle “ricchezze, degli immobili e dei consumi”, appunto.

Il Fondo sottolinea che dal 2012 è in corso una traiettoria discendente dei deficit pubblici, con una riduzione media pari all’1,6% del pil, soprattutto grazie alla riduzione della spesa per interessi in paesi come l’Italia, la Germania e la Francia. Tuttavia è in salita la spesa pensionistica che, anche alla luce dell’invecchiamento della popolazione, dovrebbe spingere “la spesa pubblica a sostenere la crescita della forza lavoro attraverso un aumento dell’accesso all’apprendistato”. In più tutte le economie avanzate in cui la popolazione invecchia rapidamente, avverte Washington, dovrebbero “puntare ad ampliare la forza lavoro aumentando l’accesso alla formazione e aumentando la partecipazione femminile”.

In generale “l’economia globale”, nota il Fondo, “è più indebitata di quanto lo fosse nel periodo precedente la crisi finanziaria”: il “periodo prolungato di bassi tassi di interesse ha stimolato la crescita del debito fino al 225% del pil mondiale nel 2016, 12 punti al di sopra del precedente record testato nel 2009″. Secondo gli economisti di Washington, la Cina è stata la responsabile di gran parte di questo aumento, anche se i Paesi avanzati, emergenti e con basso reddito “appaiono tutti vulnerabili”. Il debito globale, a fine 2016, ammontava a 164.000 miliardi di dollari. Il debito nelle economie avanzate è pari al 105% del pil, livelli medi “che non si vedevano dalla seconda guerra mondiale”.

Nelle economie emergenti e a medio reddito, il debito è vicino al 50% del pil, “livelli medi registrati durante la crisi del debito degli anni ’80”. Infine, per i Paesi in via di sviluppo a basso reddito, il rapporto debito/pil medio è salito “a un ritmo rapido” e supera il 40% a partire dal 2017. “Inoltre, quasi la metà di questo debito è in termini non convenzionali, il che ha comportato il raddoppio degli interessi a carico”. Il capo del dipartimento fiscale del Fmi, Vitor Gaspar, consiglia ai Paesi di “evitare politiche di bilancio procicliche che esacerbino le fluttuazioni economiche e aumentino il debito pubblico. I Paesi saranno in una posizione migliore per affrontare i rischi incombenti se costruiranno forti finanze pubbliche nei periodi favorevoli”.

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