Salone del mobile

Ecco perché il Fuorisalone è diventato così importante

Tutto inizia nel 1961 con la nascita del Salone Internazionale del Mobile, una fiera dedicata ai produttori brianzoli e agli addetti del settore. Fin da subito però, il Salone attrae molti visitatori, in gran parte stranieri: sono gli anni del boom economico ed edilizio e le aziende vivono un grande fermento

di Ilaria Mauri
Ecco perché il Fuorisalone è diventato così importante

Il Fuorisalone è uno di quegli appuntamenti fissi del calendario, cerchiato in rosso assieme ai compleanni, agli anniversari e a tutte le altre date da ricordare. Arriva in città assieme alla primavera e con lei porta la voglia di novità e di scoprire cose nuove. Perché la Design Week è un fenomeno grande come la città di Milano che coinvolge la fiera ma anche tutto il resto, il “dentro” e il “fuori”, la dimensione chiusa e professionale del Salone del Mobile e quella più popolare e aperta del “Fuori-Salone” appunto. Due eventi simbiotici che hanno trovato nelle qualità del tessuto produttivo, culturale ed urbano del territorio milanese, un contesto in grado di accogliere e dare spazio a tutte le diverse espressioni e i diversi interessi della comunità del design internazionale. Così, il Fuorisalone ha ormai più di quarant’anni eppure non li dimostra, perché sa sempre rinnovarsi in modo spontaneo, affermandosi come un esempio virtuoso ancora insuperato.

 

Tutto inizia nel 1961 con la nascita del Salone Internazionale del Mobile, una fiera dedicata ai produttori brianzoli e agli addetti del settore. Fin da subito però, il Salone attrae molti visitatori, in gran parte stranieri: sono gli anni del boom economico ed edilizio e le aziende vivono un grande fermento: capiscono le potenzialità dell’evento e vogliono sfruttarlo come vetrina per mostrarsi al meglio, hanno tante cose da dire e lo spazio della fiera non basta. Così, è Cassina a dare inizio al Fuorisalone negli anni Settanta: in contemporanea al Salone, decide di sfruttare anche lo spazio del proprio show-room in centro città per mostrare prodotti insoliti e intrattenere gli ospiti in una dimensione più informale. L’idea ha successo e inizia così la sinergia tra fiera e città.

Poi arrivano gli anni ottanta, quelli del mito della “Milano da bere”, e i giorni del design non sono più soltanto esclusiva di architetti, designer e commercianti ma si aprono ad appassionati e curiosi. In città arrivano giovani sperimentatori da tutto il mondo, designer ad alto tasso di creatività e basso budget. Ed è così che divertimento e intrattenimento diventano le nuove basi dell’esperienza del Fuorisalone. Per tutto quel decennio, il design fuori dal Salone occuperà sempre più pagine nelle riviste di settore e sempre più luoghi in città, segnando un definitivo cambiamento di rotta nelle forme espositive del design ed un diverso rapporto con la città di Milano.

Gli anni Novanta portano le prime guide ufficiali agli eventi del Fuorisalone e, dal 1998, la comparsa di installazioni a tema, che per dieci anni riempiranno le piazze della città, prima di trovare una collocazione ad hoc nei chiostri dell’Università Statale. Sono gli anni delle grandi feste, che proseguono per tutti i Duemila, dove la Design Week si configura sempre più come un evento pop e consumistico: nel 2000 Superstudio amplia i suoi spazi per accogliere anche il design dopo la moda e l’anno successivo nasce Zona Tortona, il primo progetto di branding territoriale del Fuorisalone che getterà le basi poi per la nascita di tutti gli altri distretti. Le presentazioni e le feste di quegli anni pionieristici hanno il sapore del mito nel racconto di chi le ha vissute. Gli eventi di Cappellini erano il vero e proprio clou del Fuorisalone, l’evento al quale non si poteva mancare perché si incontravano tutti, grandi designer e industriali, nomi emergenti e giornalisti, festaioli e intellettuali. L’effetto attrattivo è inarrestabile al punto che designer e aziende fanno a gara per accaparrasti uno spazio in zona.

Seguire l’evoluzione del Fuorisalone diventa di anno in anno più difficile: da una parte il design estende sempre di più i propri confini espressivi coinvolgendo anche i settori della tecnologia e dell’ambiente. Dall’altra parte le industrie creative e le associazioni culturali di Milano scelgono la settimana del design come occasione di rinnovata vitalità per animare la città e promuovere nuove forme di contaminazione creativa. Nel 2013 i design district erano 7, oggi sono 11 e coinvolgono praticamente tutto il capoluogo lombardo: da Lambrate alla Fabbrica del Vapore e alla Triennale, da piazza San Babila a Brera, fino al Ventura district che unisce Porta Venezia alla stazione Centrale; e poi ancora corso Como e corso Garibaldi, Porta Genova e Porta Romana, ultimo in ordine di tempo ad essersi aggiunto. Ognuno di questi racchiude al suo interno la storia di quel quartiere e il design è solo uno strumento per metterne in mostra i suoi aspetti migliori, quelli che ormai passano inosservati agli occhi di chi lo vive tutti i giorni.

 

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