Mosse da manuale per una (quasi) perfetta distrazione di fondi e l’ineluttabile dissesto di una banca. È sufficiente leggere le 12 pagine di sequestro preventivo – per ben 3,8 milioni – eseguito martedì dalla Guardia di Finanza, per comprendere come si possano mandare in fumo 30 milioni. Soldi che dovevano tornare nelle casse della banca Tercas e che, invece, restavano nelle tasche di Cosimo De Rosa, amministratore di fatto di una società fallita, la Dierreci Costruzioni srl.

Siamo dinanzi all’epilogo della maxi inchiesta sulla banca teramana, con un fascicolo aperto pochi mesi fa, che conta sette indagati – Cosimo De Rosa, Patrizio Blonda, Raffaele Di Mario, Giovanni De Rosa, Gianni Antonucci, Mauro Fornacini e Giampaolo Donati – accusati di bancarotta fraudolenta, aggravata dal requisito della transnazionalità, delle società Dierreci Costruzioni e Lupa srl.

I milioni sottratti dalle casse delle società, infatti, se non bastasse finivano poi nello stato di San Marino: “I fatti reato – si legge negli atti – sono stati realizzati con il rilevante contributo di un gruppo criminale organizzato, impiegato in attività criminali in più di uno Stato”. E così il nucleo speciale polizia valutaria della Guardia di Finanza oggi ha sequestrato 44 immobili e terreni, denaro contante e partecipazioni societarie, per un valore totale di 3,8 milioni di euro nei confronti di Cosimo De Rosa, Patrizio Bionda e Raffaele Di Mario. Quest’ultimo è l’ex presidente del Pomezia calcio. De Rosa, si legge nel decreto, “si appropriava dell’importo di circa 30 milioni di euro”. Con questi 3,8 milioni, nella vicenda Tercas e delle società fallite che hanno ricevuto soldi dall’istituto bancario, siamo arrivati a ben 525 milioni sequestrati dalla Gdf. Questa vicenda, sottolinea il gip Francesco Patrone, è “strettamente legata” al “dissesto finanziario della Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo, Banca Tercas Spa”.

Ma procediamo con ordine. La Dierreci Costruzioni il 14 maggio 2010 acquista – rilevandone il mutuo – un complesso immobiliare a Roma, in via Lucio Calpurnio Bibulo, dalla società Araba Fenice srl. Il mutuo era stato concesso in origine alla società Araba Fenice. Ed “era stato concesso – si legge negli atti – previa valutazione effettuata dall’ingegnere Giovanni Jaroszuk”. Non è la prima volta, scoprono gli investigatori, che Jaroszuk è coinvolto in “pratiche di finanziamento concesse” da Tercas a “clienti legati da rapporti di affari con l’allora Direttore Generale della banca, Di Matteo”. Nè Jaroszuk, né Di Matteo, va precisato, risultano indagati per questa vicenda. Il mutuo in questione ammonta a ben 27 milioni di euro. E passa quindi dalla Araba Fenice, che vende il complesso immobiliare, alla Dierreci costruzioni, che lo acquista. Piccolo dettaglio: “La Dierreci Costruzioni srl” ha “un capitale sociale di appena 10mila euro”. “Naturalmente – scrive il gip – la Dierreci Costruzioni srl non aveva alcuna possibilità di pagare le rate di mutuo ipotecario”. E in questo modo, i 27 milioni erogati da Tercas, nei conteggi della bnca, finiscono “oggi significativamente appostati quale sofferenza”.

Se non bastasse, sul conto in Tercas della Dierreci, giunge pochi mesi dopo, nel dicembre 2010, un bonifico di euro 3,4 milioni”, dalla società Fincentro Uno srl “riconducibile all’imprenditore Francescantonio Di Stefano” (non indagato, ndr) che vengono poi “utilizzate” per “disporre, fra l’altro, un bonifico di 3,2 milioni a favore della Metris srl”, che ha la sua sede legale nella Repubblica di San Marino. Società che, anche questa volta, è riconducibile a Di Mario. Sulla carta, il bonifico della Dierreci alla Metris, porta come causale “acquisto quote Levante”. Gli investigatori della Gdf, però, scoprono che “dalle visure alla Camera di Commercio si evince che la Dierreci Costruzioni srl non è mai stata titolare di quote della società Levante Immobiliare srl”.

E sempre a Di Mario è riconducibile la seconda società sulla quale indaga la procura di Roma: la Lupa srl, che “è stata di fatto costituita a giugno 2007” quando il gruppo facente capo all’imprenditore “era già fortemente esposto nei confronti del sistema creditizio”. A cosa serviva la Lupa srl? A svolgere il ruolo di “società veicolo”, alla quale “apportare il comprensorio immobiliare denominato “Torrino Mezzocamino comparto Z-20”, in fase di costruzione, al fine di ottenere ulteriori liquidità”. Ma da dove arriva questa liquidità? Dalla cosiddetta “banca gemella” di Tercas a San Marino: la SMIB. Il tutto con un ulteriore obiettivo. Ovvero quello, continua il gip, “di incassare ‘in nero’ le caparre versate dagli acquirenti degli appartamenti”. Anche in questo caso, come per la Dierreci Costruzioni, “la società, adempiuti i suoi scopi, è stata poi progressivamente depauperata di tutte le attività di cui disponeva fino alla sentenza dichiarativa del fallimento, intervenuta il 6 novembre 2015”.

E qui il compito degli investigatori si fa ancora più complicato. Da un lato per “il mancato rinvenimento delle scritture contabili obbligatorie della società fallita e dei dati riportati nell’ultimo bilancio d’esercizio”, dall’altro per il fatto che “la Lupa srl disponeva di un conto corrente societario istruito nella Repubblica di San·Marino, presso la Banca SMIB” che, nel frattempo, era finita “in liquidazione coatta amministrativa”.

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