“La Toscana non è una terra di mafia, ma la mafia c’è”. Era lo slogan coniato dieci anni fa dalla Fondazione Caponnetto, ma di fronte ai 132 gruppi criminali censiti nella regione per un giro d’affari di 15 miliardi di euro, oggi non è più valido. Questi due numeri – i più impressionanti dell’ultimo rapporto presentato dalla fondazione – dimostrano che la frase va rivista: “Oggi la Toscana è terra di criminalità organizzata ed è in parte colonizzata dalla mafia”. Una terra in cui negli ultimi anni si è osservato un boom di reati, con aumenti tra il 20 e il 40 per cento, e dove, d’altra parte, come ha rivelato l’Espresso, si nasconderebbe il boss superlatitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, protetto dalla ‘ndrangheta.

Una trama criminale che, operando con basso profilo e pochi fatti di sangue, mostra di aver messo radici nel tessuto economico della regione, contaminando con la propria cultura anche soggetti estranei alla malavita. “Ci mancavano anche i bambini che vanno all’ospedale. Che muoiano. Non m’importa nulla”, dice al telefono un operatore dei rifiuti intercettato dai carabinieri forestali di Livorno nell’inchiesta Dangerous trash su presunti smaltimenti illeciti di monnezza. Soggetti fuori dai circuiti della criminalità organizzata, ma che di questa hanno assorbito modi, approcci, linguaggio.

Camorra: rifiuti e slot
L’organizzazione con una presenza più capillare sul territorio e attività consolidate a livello locale è la camorra, che ha insediamenti significativi in provincia di Pisa, in Versilia, nel Valdarno aretino e nella provincia di Prato. Sono soprattutto clan dei Casalesi, molto attivi nel business dei rifiuti (traffici di materie plastiche e indumenti usati), ma non solo: “I più potenti clan camorristici si sarebbero, nel tempo, interessati ad alcuni settori di investimento, tutti redditizi (edilizia, ristoranti, alberghi, bar, appalti pubblici, settore tessile, estorsioni, usura, smaltimento dei rifiuti e traffico di sostanze stupefacenti).

Anche il settore della gestione delle sale dedicate alle slot machines ha evidenziato presenze criminali organizzate manifestatesi attraverso la fittizia intestazione di aziende esercenti l’attività di punti scommesse”, si legge nel rapporto. Se nella Toscana centrale sono presenti i clan Ascione e Birra-Iacomino, oltre ai Terracciano, in Versilia operano soggetti collegati alle famiglie Schiavone, Iovine e Russo. Nel febbraio 2016 in Valdarno si sono susseguiti arresti per omicidi di camorra: i fatti di sangue erano avvenuti in Campania, ma i presunti killer si erano spostati nella pianura toscana alle porte di Firenze. Sul fronte degli smaltimenti illeciti di rifiuti, tra le operazioni più grandi c’è quella di due anni fa: le indagini dei magistrati fiorentini accertarono rapporti affaristici consolidati tra imprenditori toscani ed esponenti del clan Schiavone-Zagaria.

‘Ndrangheta: droga e appalti
Usura, estorsioni, infiltrazione nel settore degli appalti pubblici e privati, traffici di droga e di merce contraffatta sono le attività principali dei rappresentanti della ‘ndrangheta in Toscana. Non ci sono insediamenti strutturati, ma le attività dei soggetti legati alla criminalità calabrese fanno girare molti soldi. Nel 2017 la Dia di Firenze, nell’ambito dell’operazione Becco d’oca, ha sequestrato il patrimonio da oltre 5 milioni di tre imprenditori calabresi attivi tra Firenze, Prato e Pistoia e ritenuti legati alla cosca Giglio del Crotonese. Il volto più inquietante della penetrazione delle ‘ndrine nella regione è l’omicidio di Giuseppe Raucci, presunto trafficante di stupefacenti ucciso nel 2015 in provincia di Pisa, probabilmente per un fallito approvvigionamento di cocaina destinata a due gruppi criminali legate tra loro, uno livornese e l’altro calabrese stanziato a Prato. Sono le regole ferree dell’organizzazione criminale nella terra d’origine, a cui nei casi estremi si fa ricorso anche fuori, in “uno spaccato che ha visto allearsi trafficanti toscani con elementi calabresi stanziati nel territorio”.

Cosa Nostra: riciclaggio e stupefacenti
Cosa Nostra ha una struttura meno consolidata nella regione, ma la sua presenza si è consolidata diversamente, basandosi “più che un canonico controllo del territorio, su forme o tentativi di condizionamento dell’azione pubblica (funzionali soprattutto al controllo dei pubblici appalti) e di infiltrazione dell’economia e della finanza, grazie alla spiccata capacita relazionale e di mimetizzazione con il contesto di riferimento”. Tra i reati più contestati c’è il riciclaggio, anche con la collaborazione di professionisti con competenze specifiche in materia tributaria, finanziaria e fiscale. Il rapporto cita, tra le altre, l’operazione “Tonnara”, che ha visto coinvolto l’imprenditore trapanese Andrea Bulgarella: dagli anni Novanta ha investito in Toscana somme che in parte, secondo la Dda di Firenze, avrebbe accumulato grazie ai rapporti con Messina Denaro e l’appoggio di funzionari di Unicredit. Va detto che il processo è ancora in corso e soprattutto che il tribunale del Riesame ha annullato tutti i sequestri a suo carico dicendo che non ci sono illeciti. L’imprenditore nel frattempo ha raccontato la sua verità in un libro, La partita truccata.

E’ del marzo scorso, invece, l’operazione antidroga che a Firenze ha portato all’arresto 4 persone per traffico internazionale di stupefacenti: insieme ad altri 7 sono ritenuti prestanome. Al centro dell’inchiesta i fratelli Sutera, proprietari di un noto bar della città. “Si cerchino a Firenze altre attività dei Sutera – esortano dalla fondazione Caponnetto – Quando un gruppo è presente da anni in una città, è raro che abbia un solo bar”.

Mentre si rafforza la criminalità nigeriana, il triangolo Firenze-Prato-Sesto Fiorentino, infine, è l’epicentro della mafia cinese, quasi la sua “Capitale” capace di estendere la sua influenza dal Nord alla Sicilia e a cui sottostanno tutti gli altri criminali cinesi che operano in Italia.

“Mafie sottovalutate per troppo tempo”
Come accade da decenni, la tecnica principale dei gruppi malavitosi è quella del cosiddetto inabissamento: le mafie agiscono sottotraccia per non destare allarme sociale, né attenzione nelle forze dell’ordine. Per il presidente della fondazione Caponnetto Salvatore Calleri, autore dello studio insieme a Renato Scalia, l’errore principale è stato in questi anni quello della sottovalutazione. Il risultato è stato che gli allarmi lanciati da magistrati, forze dell’ordine e osservatori sono caduti nel vuoto. “Gli operatori delle forze dell’ordine e la Dda sono preparati ed attenti, ma la società nel suo complesso, sia culturalmente che politicamente, è distratta e pure automertosa. Intendo una forma di omertà scelta in modo consapevole per paura di affrontare la verità”, dice Calleri a ilfattoquotidiano.it. In una regione da tutti identificata come sinonimo di bellezza e alta qualità della vita, negare la presenza delle mafie ha rappresentato spesso la strada più facile e i primi segnali di consapevolezza arrivano adesso, con ritardo: “Non lo era, ma oggi la Toscana è diventata una terra di criminalità organizzata. Inoltre vengono commessi errori di analisi: la mafia il braccio armato non lo ha mai lasciato, procede di pari passo con il braccio economico. Non bisogna mai dimenticarlo. Nemmeno in Toscana”.

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