Piccole e medie imprese: una locuzione ormai inattaccabile in Italia. Eppure è un qualche cosa che ci condiziona la vita in modo molto stringente. Bisogna però cercare di capire bene i termini del problema. Un primo passo è definire bene e con chiarezza i tipi di ‘domanda del mercato’ e di ‘economia operativa’ che condizionano la vita di qualsivoglia Paese: la ‘domanda’ si divide in due parti molto nette: a) la ‘domanda interna’ e b) la ‘domanda esterna’; l’economia operativa si articola su tre livelli: 1) economia di borgo 2) mercato nazionale 3) mercato internazionale. Non esiste impresa in Italia o nel mondo, piccolissima o gigantesca, che possa sfuggire a impattare con tutti o solo parte dei tre incroci che ne derivano.

E’ proprio di fronte a questa suddivisione che bisogna cercare di chiarire bene sia ciò che di solito si intende per Pmi (definizione quanto meno sciocca ma comunque in uso corrente) sia che cosa il Paese (con i suoi deficit economici e i suoi disoccupati) si aspetterebbe dal nostro sistema manifatturiero. Ricordiamo che moda e food restano esclusi da questa analisi perché, ad onta del tanto vituperato euro, esportano alla grande.

a1) è l’area delle botteghe, dei piccoli artigiani, dei centri commerciali: si tratta di un’area molto severa, nella quale l’equilibrio domanda/offerta è addirittura crudele. Se l’offerta supera la domanda qualche bottega, qualche artigiano o qualche centro commerciale chiude, senza alcuna pietà. Le imprese che operano in questo comparto non hanno alcuna chance di porsi in contatto con i mercati internazionali. La loro speranza di crescita è collegata solo all’espansione della popolazione del borgo o alla chiusura di imprese concorrenti. Non risentono di insidie derivante da imprese analoghe straniere.

a2) Cominciamo a incrociare una parte delle cosiddette Pmi: aziende manifatturiere di origine familiare, di dimensioni medio-piccole (come cifra d’affari); di solito si tratta di aziende improntate a una tecnologia medio-bassa, molto orientate alla subfornitura o a prodotti di uso corrente. Caratteristica di questa imprese (sempre in senso generale e statistico) è la cultura di gestione aziendale obsoleta: tendenzialmente molto ispirate al vecchio (e pericolosamente superato) principio che potremmo chiamare ‘del bottegone’, quello per cui si pensa: ‘Io questo prodotto produco, questo prodotto devo vendere’. Product-oriented.

Pochi e occasionali i contatti con domande estere: modesta sensibilità all’innovazione di prodotto e/o di processo; alta sensibilità, al contrario, all’adeguamento alla miglior tecnologia produttiva disponibile. Si tratta di un settore di business abbastanza a rischio: data la modesta levatura tecnologica dei prodotti, queste aziende sono esposte alle insidie (elevate) delle importazioni di prodotti analoghi a bassa tecnologia (Romania, Cina, India, ecc.);. E’ importante avere un buon sistema di distribuzione e vendita dei propri prodotti: ma non si tratta di un bastione insormontabile di difesa.

b3) Si giunge così al settore più potenzialmente vincente di tutto il quadro delle cosiddette Pmi (settore manifatturiero): esso racchiude aziende che operano sia sul mercato interno che all’esportazione – anche se al termine esportazione occorre talvolta dare una bella tara. In generale si tratta di imprese che sono impegnate su prodotti a tecnologia media o medio-alta, nascono come fornitori del mercato interno ma poi evolvono e si guardano attorno perché, di solito, il mercato interno non è più bastevole per le loro necessità di carico d’ordini (back-log), ma così facendo incontrano spesso una domanda complessa di prodotto ma anche di servizio (quality, delivery, technical assistance, etc.) che le spinge a evolvere verso livelli di performance più elevati e competitivi. Qui (b3) poggiano le speranze di una evoluzione positiva dell’economia italiana, perché la domanda interna italiana è assolutamente insufficiente per le loro necessità (e in questo caso sentono pure una forte concorrenza di prodotti esteri), mentre nella domanda estera esistono spazi colossali di caccia ai business.

Ma, finora, i risultati sono deludenti. Nel prossimo post vedremo come il mondo ci sta cacciando fuori, anche se il battage mediatico interno inneggia alle nostre ‘esportazioni’, poudre-aux- yeux. Come in ogni plan, la scommessa iniziale di una corretta segmentazione del quadro, dei problemi, delle opportunità, delle forze, delle debolezze, etc. costituisce la base essenziale e vincente e nel nostro caso, data la fumosità colpevole con la quale a tutti i livelli si è operato finora, la segmentazione assume una importanza fondamentale: vedremo che dovremo proseguire con il quadro analitico.

Articolo Precedente

Alitalia, arrivate tre offerte d’acquisto: Lufthansa, EasyJet e probabilmente l’ungherese Wizzair

next
Articolo Successivo

Qualche dubbio sulla Cassa Depositi e Prestiti che entra in Telecom

next