L’invettiva di Valentino Rossi contro Marc Marquez sta tenendo banco da ieri e ha assunto varie sfumature a seconda dei punti di vista, del tifo per l’uno o l’altro pilota, dell’età, dello stile di guida. Insomma una diatriba (che si ripete) tra due miti delle due ruote che vivono in pista stagioni diverse delle rispettive carriere e che non può che far rumore. È un rombo quello di Valentino Rossi la cui reprimenda nei confronti dello spagnolo ha tutto il sapore di una scomunica.

Il termine mutuato dalla pena canonica calza a pennello in questa storia perché, per definizione, nelle Chiese cristiane implicava l’esclusione di un suo membro dalla comunità (di fedeli) a causa di gravi e ostinate infrazioni alla morale e alla dottrina riconosciuta. È proprio una lezione morale quella che stavolta Valentino ha voluto dare al rivale. Smaltita l’arrabbiatura iniziale, ha calibrato, studiato e soppesato il suo intervento. Rendendolo “definitivo”. Non era in gioco il modesto esito di un Gran Premio e neppure quello della stagione in corso. Le parole del “Dottore”, chirurgiche e irreversibili, non covavano neppure gli strascichi del 2015, quando per un comportamento analogo, ci rimise un mondiale.

La scomunica è eterna, Rossi non è un Papa ma bollando Marquez come scorretto e pericoloso ha determinato una serie di riflessioni che riguardano la dottrina stessa del Motomondiale: inseguire la vittoria a tutti i costi è cosa buona e giusta? Per Valentino no e per questo macchia le vittorie passate dello spagnolo in maniera indelebile e instilla nella mente dei tanti appassionati dubbi che resteranno addosso a Marquez, aderenti come una tuta. “Vince perché è scorretto? Perché osa più degli altri, e anche se supera il limite gli viene consentito?”.

Rossi sa che dal suo altare di leggenda vivente, con una predica poteva smuovere le anime a lui fedeli, e, se fosse stato compassionevole, accettando di ricevere la trinità spagnola giunta in pellegrinaggio al box Yamaha sarebbe uscito da signore. Marquez accompagnato dal padre e dal manager, l’ex iridato Emilio Alzamora, ha trovato la rabbia di Uccio Salucci a rispedirli indietro in diretta tv ma ancor più funesta seppur più composta è stata la reazione di Valentino che, tra un sorriso e un ghigno, ha dato la vera spallata al campioncino spagnolo.

La paura che cita Rossi è una suggestione forte che il nove volte iridato ha voluto lanciare con chiarezza. Dubito che abbia temuto per sé in questi anni, anche nei duelli più accesi il controllo della moto e in generale della situazione erano saldamente nel suo manubrio. Tacciare di pericolosità un pilota è volerlo marchiare a fuoco e incitare tutti alla richiesta di far rispettare le regole e punire severamente chi non le rispetta. La scomunica è lanciata, difficile non parteggiare per Valentino Rossi ma auguriamoci che chi di dovere badi a evitare che questa situazione degeneri a scapito della sicurezza dei piloti e far sì che le “paure” di Valentino non si traducano in realtà.

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