E’ inutile nasconderci. La commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario deve diventare una commissione permanente. Non solo indagini per tentare di capire chi ha fatto scappare i buoi dalla stalla – così come avvenuto con l’ultima esperienza per le banche in crisi – ma soprattutto una costante funzione conoscitiva delle dinamiche del sistema finanziario e, quindi, di indirizzo e di controllo attraverso la possibilità di legiferare.

Un altro spettro, infatti, si aggira per il nostro sistema bancario. Dal primo gennaio 2018 è entrata in vigore una normativa (Linee guida per le banche in materia di gestione di crediti deteriorati) le cui disposizioni graveranno pesantemente sui prossimi bilanci delle banche. Una direttiva diramata da Bce (per le banche sistemiche) e adattata da Bankitalia (per le banche less significant) che meriterebbe più attenzione e che andrebbe giudicata con maggiore severità visto l’effetto che determina lo spostamento di ricchezza reale dalle banche, già di per sé gravate da tanti problemi, e dal loro azionariato diffuso (i risparmiatori) a un sistema controllato sostanzialmente da sei grandi gruppi multinazionali che acquistano i crediti marci del sistema bancario europeo.

Il primo aspetto che fa riflettere riguarda l’informale prescrittività delle indicazioni. Le regolamentazioni degli organi di controllo di solito sono piuttosto vaghe, stabiliscono principi e orientamenti, introducono delle “linee guida” ma raramente sono prescrittive. In questo caso invece ci sono delle indicazioni chiarissime e precise che le banche devono seguire. Se le banche non seguono quelle “indicazioni”, dovranno motivare lo scostamento e la Bce potrà intervenire.

In particolare più volte si fa riferimento all’opportunità per le banche di cedere i crediti marci a prezzi di realizzo. Un sistema oscuro, molto poco trasparente dove ci sono società che comprano i crediti deteriorati mediamente all’11-12% e poi propongono ai debitori una transazione a “saldo e stralcio” tra il 25% e il 40% della debitoria.

E chi ci perde in tutto questo? Le banche. E allora perché dovrebbero farsi convincere dall’Organo di Controllo a cedere un credito per far guadagnare un terzo (la società di recupero)? Anche perché – ci si può logicamente chiedere – se proprio non ci sono ulteriori margini di trattativa nella transazione con il debitore (nel caso abbia solo quel 25-40%), perché la banca non se li incassa direttamente e riduce le perdite eliminando l’intermedazione (e il guadagno) della società di recupero? Perché la banca non ha riflettutto sul fatto che quelle ulteriori perdite riducono il valore del capitale in mano ai singoli soci, spesso piccoli azionisti sono “forzati” ad acquistare le quote o le azioni? Non solo, ma hanno considerato che, riducendo il valore del capitale in mano al socio, fregano se stesse e il sistema bancario nel suo insieme?

Il secondo punto di riflessione riguarda i tempi stringenti in cui vanno svalutati totalmente i crediti in sofferenza. La banca deve ammortizzare il rischio, iscrivendo un accantonamento (un costo figurativo iscritto in bilancio per far fronte a spese/perdite incerte) in sette anni per quelli garantiti da ipoteca e addirittura due per tutti gli altri. Dopo questo lasso di tempo, se restano in pancia alle banche, varranno zero. Un’istruzione precisa che invoglia (o spinge) sempre più le banche a cedere i crediti marci e le induce a produrre, masochisticamente, perdite.

Un bagno di sangue, un suicidio, visti i tempi medi (7 anni) di recupero giudiziale di una creditoria nel nostro paese.

Le cessioni dei crediti deteriorati, dietro il “misterioso” Harakiri, hanno quindi il formale obiettivo di far apparire il sistema bancario più sano presentandolo con una percentuale di “sofferenze” più bassa e contenuta ma nella sostanza possono portarlo al default.

Rimangono solo due alternative per le banche: convincere, appunto attraverso una commissione parlamentare, il nuovo governo ad intervenire per rivedere la disciplina prima che sia troppo tardi (ricordate il bail-in?) o continuare a perpetrare il reato di falso in bilancio cercando di tirare la corda il più possibile mantenendo “in bonis” quei crediti che bonis non sono.

A meno che dietro quelle società di recupero crediti… Alla prossima!

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