Dunque l’accordo raggiunto tra Sky e Mediaset per lo scambio di canali e prodotti fa felici tutti. Felice la borsa, felice Sky che inserisce prodotti interessanti nella sua offerta e Mediaset che inserisce le sue generaliste in posizione migliore sul telecomando, felici gli abbonati che si troveranno, per lo stesso prezzo, una possibilità di scelta più originale là dove era un pochettino ridotta (penso al cinema di Sky). Non sarò certo io mettere in dubbio tanti motivi di felicità. Ma in tutta questa giustificata euforia ci sono tre piccole (o grandi, fate voi) questioni che personalmente mi stanno a cuore e che meriterebbero qualche approfondimento, se non qualche risposta.

Prima questione. Se è vero, come dice Carlo Freccero, che il grande sconfitto di questa nuova alleanza è Bolloré con il suo progetto di espansione su Mediaset, esce sconfitta anche l’ipotesi di un grande polo televisivo europeo? Perché, se così fosse, qualche rammarico io l’avrei. Un gruppo tutto americano con i vari intrecci Sky-Fox-Disney-Netflix, senza scomodare la colonizzazione culturale, non apre solo radiose prospettive. E, comunque, a me vedere cosa potrebbe fare in questo settore della tv contemporanea un soggetto radicato nella vecchia Europa sarebbe piaciuto. A proposito, corollario della prima questione: la straordinaria offerta che la nuova alleanza è in grado di proporre riguarda soprattutto l’intrattenimento. Ma l’informazione che, a mio parere, è stata uno degli elementi di spicco di Sky, che posto avrà nel nuovo insieme di canali?

Seconda questione. Insieme con l’informazione e con il cinema a fare la storia della pay tv italiana c’è stato lo sport o meglio il calcio. Il calcio non è stato solo un prodotto in grado di generare abbonamenti ma anche un luogo privilegiato di costruzione della identità, della riconoscibilità dell’emittente, un laboratorio in cui ha costruito il suo linguaggio, ha creato personaggi, le figure divistiche simboli della rete. Attorno a quel laboratorio si sono formate aggregazioni, comunità di spettatori. Il calcio significa coppe internazionali ma anche campionato. E qui, sul campionato, sulla trasmissione in diretta delle partite, il nuovo blocco Sky-Mediaset dovrà subito mostrare le sue intenzioni e le sue potenzialità. Prima di tutto c’è da sciogliere il nodo dei diritti, ma poi c’è da riconsiderare il modo di proporre il campionato. Escluso che, come dice avventatamente qualcuno, sia il più bello del mondo, il problema è come valorizzare quello che c’è. Forse più che sull’appeal spettacolare che non è più quello di un tempo vale la pena di puntare su altre letture meno tecniche e più simboliche quali l’appartenenza, la ritualità, come Sky ha fatto con la serie B. Ma questo vuol dire anche riconsiderare la validità dello spezzatino, a vantaggio di un prodotto meno dispersivo, più compatto.

Infine la terza ineludibile questione che si propone ogni volta che il mercato televisivo ha degli scossoni e di conseguenza ritorna con particolare interesse di fronte a questa novità clamorosa. Che farà la Rai? Ebbene, io credo che la Rai debba fare la Rai, difendere, accentuare il suo ruolo di sevizio pubblico, differenziando il suo stile, il suo linguaggio, i suoi contenuti dalle reti commerciali che le si avvicineranno nei tasti del telecomando, quelle Mediaset. Il che non vuol dire affidarsi solo ai generi nobili, ma costruire il suo palinsesto nel rispetto dei valori della cittadinanza. Tanto mi è parsa inutile e pericolosa l’idea di un partito della nazione, tanto mi sembra preziosa la presenza di una tv della nazione.

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