Chiara più bella che mai a pochi giorni dal parto, Chiara che mostra le curve materne, Chiara che cucina un occhio di bue. E poi lo scoop sul presunto concepimento sul palco del Rugby Sound di Legnano, la gara a capire a chi assomiglia più Leoncino, le foto della famiglia in ospedale, sul divano, a mangiare la pizza fuori, ovunque. La stampa italiana, e parlo di giornali nazionali, non di siti semi sconosciuti di gossip, non fa che produrre in massa articoli sulla coppia Fedez/Ferragni. Tutti uguali: descrittivi, privi di analisi o riflessione, scritti con un linguaggio infantile, da sito rosa di second’ordine, tutti tesi ad esaltare la tenerezza del momento, la perfezione della madre, la dolcezza di Baby Raviolo. Tutti a entusiasmarsi per i primi vestiti – decine di articoli emozionati sulla tutina Petit Bateau – tutti  a trepidare per la data del matrimonio. Insomma sembra che la stampa italiana di fronte ai due abbia buttato il cervello alle ortiche, con i giornalisti trasformati in dediti followers intenti a mettere cuoricini alla loro coppia preferita.

Ma la cosa ancora più sconcertante sono gli articoli che parlano dei critici della Ferragni. Anzitutto, quelle persone iscritte al suo profilo che criticano la coppia e le loro scelte di immagine. Basta scorrere i post della blogger, infatti, per scoprire che il pubblico è diviso a metà. C’è chi elogia l’influencer qualsiasi cosa faccia, manifestandole sostegno e inviandole auguri, baci e ogni altro tipo di emoticon, e chi invece critica aspramente l’ostentazione dei due, ad esempio, l’aver deciso di esibire subito il figlio in tutti i modi possibili. Così come, ad esempio, l’essersi mostrata a dieci giorni dal parto in perfetta forma. Sono critiche spesso ben argomentate, altre volte meno, a volte leggere a volte pesanti, ma che dimostrano che per fortuna non siamo di fronte a dieci milioni di persone completamente prive di senso critico. E questa è un’ottima notizia per la qualità del nostro dibattito pubblico. Se i follower mantengono un po’ di ragionevolezza, come vengono chiamati invece dalla stampa italiana coloro che osano scrivere qualcosa contro? “Haters”. Chi critica – e non sto parlando dei veri odiatori, che non criticano, ma insultano – è un “odiatore” (qualche titolo: “Rassegnatevi haters: Chiara Ferragni è bella, ricca e felice, “Chiara Ferragni presa di mira dagli haters“, “Ferragni e Fedez hanno imparato a tenere a bada alle parole degli haters“). E se non sei un hater, come minimo sei un invidioso, che in realtà vorrebbe essere come la coppia del momento, ma non può. Frustrato e livoroso.

Come è possibile essere arrivati a questo punto? Temo che la stampa italiana si sia completamente assuefatta al modello statunitense. Ovvero: da un lato facciamo le hard news, politiche, inchieste sulle cose che contano. Dall’altro buttiamo in pasto ai lettori migliaia di pezzi soft news, articoli teneri e divertenti che non devono mai e poi mai contenere riflessioni o dissenso, ma avere l’unica funzione di generare traffico. Il problema è che le cosiddette “soft news” riguardano cose importantissime, come i nostri modelli culturali, il nostro stile di vita, le scelte che facciamo, i valori che abbiamo. Altro che entertainment: dovremmo invece guardare con attenzione doppia – e fare analisi di peso ed esprimere il nostro eventuale dissenso – coloro che sono diventati punti di riferimento di milioni di persone, tra cui milioni di ragazzi. Perché la distinzione tra hard e soft news è fasulla, ogni notizia va guardata con senso critico, di qualunque tema si parli.

Proviamo a guardare la coppia Fedez Ferragni con un occhio opposto a quello che racconta la stampa. Vi racconto cosa vedo io: centinaia di foto tutte uguali. Lui e lei, lei e lui, lui lei e il bambino, e così via. Mai un sorriso, sempre visi bloccati, pose identiche. Sguardi malinconici, a volte letteralmente persi, vuoti. Niente testo: non sappiamo cosa pensino di ciò che accade, non c’è uno straccio di riflessione su qualcosa. Solo hashtag che andrebbero pure bene se ci fossero (ma così non è) foto evocative e struggenti. Anche la narrazione della maternità di Chiara è povera. Sempre immagini bloccate, immobili, tutto bello, perfetto ma soprattutto privo di chiaroscuri, conflitti, complessità e dunque, dal mio punto di vista, privo di interesse. Perché non ci fa vedere pezzetti di mondo? E perché non racconta delle contraddizioni, della fatica, dei dubbi della maternità? Perché non c’è traccia di creatività, né di ironia?

Certo, il suo scopo è vendere abiti. E proprio da questo punto di vista noi giornalisti dovremmo farci attenti, sensibili, visto che in teoria facciamo parte di un Ordine che ci impone una ferrea deontologia rispetto alla distinzione tra informazione e pubblicità. Che la pubblicità debba essere manifesta come tale e dunque segnalata anche per i cosiddetti “influencer” l’ha detto esplicitamente l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha inviato a Ferragni, Fedez e altri una lettera in cui si specificava che “la pubblicità deve essere esplicitamente riconoscibile come tale”, pena l’invio di pesanti multe. È cambiato qualcosa da allora? Fedez e Ferragni si sono adeguati inserendo nei post esplicitamente sponsorizzati la dicitura #advertising. Ma il problema della pubblicità che potremmo chiamare “involontaria”, fatta a prodotti ricevuti magari gratuitamente, resta. Noi giornalisti non dovremmo forse dirlo? E invece non mi pare che succeda. Appaiono paginate come questa sul Corriere della Sera, in cui una pur brava giornalista si impegna a difendere Fedez-Ferragni dall’accusa di utilizzare il figlio per fare pubblicità, spiegando che i capi di Leone sono stati regalati e che dunque i due non lucrano sul bambino. Ma questa non è un’argomentazione. Mi spiego meglio: non sto dicendo che i due genitori lucrino, ma che se pure i capi che indossa Chiara o Fedez fossero regalati comunque non potrebbe esibirli in un certo modo. Se tu fai la blogger di moda e hai dieci milioni di persone che ti seguono, quello che indossi, anzi quello che posti, diventa automaticamente una forma di sponsorizzazione, specie quando è posizionato in un certo modo.

Dirò di più: il tentativo del Corriere di difenderli dall’accusa fare pubblicità è totalmente naif, dal momento che nel mondo degli influencer non esiste più alcuna distinzione tra vita e pubblicità. Il che significa, anche, che in un certo senso non gli è concessa alcuna forma di spontaneità, un prezzo da pagare che personalmente non augurerei a nessuno, ma di cui loro sono consapevoli avendola costruita volontariamente. In altri termini: per loro essere autentici non esclude il fare pubblicità e non è un caso che gli occhi del bambino siano stati pixelati solo per poche ore. Ci sarà stata una discussione, alla fine avrà prevalso la logica di quel mondo. Tutto viene esposto, il gioco funziona così, come loro stessi hanno detto.

Allora è chiaro che a riportare un po’ di chiarezza dovremmo essere noi giornalisti. Purtroppo temo che sulla commistione tra comunicazione e promozione temo ormai si possa fare poco, nel mondo del web comunicare è fare marketing, ma ameno possiamo ricordare che una distinzione esiste. Dirlo non significa essere rosiconi, ma fare il nostro lavoro. Perché il punto è proprio questo. Loro, sono Ferragni e Fedez e fanno, coerentemente, Ferragni e Fedez. Noi, invece, siamo giornalisti che non fanno più i giornalisti.

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