98% compatibile”: la scritta per me più che una bussola è tipo una copertina di Linus, quando a tarda notte mi metto a scorrere Netflix alla ricerca affannosa di qualcosa da vedere.

L’obiettivo sembra semplice ma in realtà non lo è affatto, dato che – come più o meno per tutto – i requisiti che cerco sono tanti, spesso contraddittori tra loro e pure variabili da un minuto all’altro.

Dunque, nella migliore delle ipotesi voglio qualcosa che sia abbastanza appassionante ma non troppo complicato, abbastanza interessante ma non esageratamente raffinato, abbastanza nuovo ma non troppo straniante. Nella peggiore, invece, anelo a qualcosa di abbastanza rilassante ma non troppo prevedibile, abbastanza rassicurante ma non esageratamente buonista, a lieto fine ma non del tutto privo di spigoli.

E allora, eccomi lì che clicco e riclicco, passando da un film che ho già visto cinque volte – ma forse sono abbastanza stanca per vedere la sesta – a una serie di cui mi manca l’ultima stagione e so già che mi deluderà, ma può forse essere una scelta adeguata (adeguata a che? Boh), per arrivare a quella invece appena uscita, che pare sia imperdibile.

Però poi, le serie imperdibili diventano 5, 6, 7, 10, ognuna per un motivo diverso: tipo, ma l’ultima stagione di Black Mirror come faccio a non averla neanche iniziata? E Altered Carbon, invece? Pare che sia tutta fantascienza filosofica. La fantascienza non mi piace troppo, in realtà. Va beh, ma magari questa sì. Poi, però ci sta Atypical: le vicende sentimentali di un ragazzo autistico non mi attraggono troppo. Ma sento che dovrebbero. E quella specie di documentario su Donald Trump dev’essere un must. E la serie brasiliana che ha fatto arrabbiare Lula? E quella croata ambientata in una qualche redazione? E quel serial killer francese? Ma poi perché non darmi direttamente a un classico, tipo Mad Man? Le lacune vanno colmate.

Si fa sempre più tardi e io non mi decido a scegliere. Allora vado alla ricerca di una guida: meno del “95% compatibile” non se ne fa niente. Mi sarebbe piaciuto, ma ormai non è più l’ora per fare degli esperimenti.

Peccato che la cosa non mi aiuti più di tanto. Alla fine mi suggerisce sempre le mie due categorie preferite per la visione casalinga notturna: commedie americane sentimentali o thriller, se possibile a sfondo politico e giornalistico.

I titoli sono comunque troppi. E mi ripropongono il “solito” bivio: optare per la distrazione totale o sfruttare l’ultimo neurone sopravvissuto negli ultimi 10 secondi utili della giornata?

Mentre non riesco a decidere e continuo a guardare trailer e leggere riassunti, capisco dov’è la fregatura: in fondo non c’è niente di risolutivo in quella scritta “98% compatibile”, niente di veramente utile. Mai una volta che Netflix mi stupisse proponendomi con quella assolutezza matematica un documentario sul safari in Africa, con protagonisti solo leoni e nessun umano. Mai che andasse al di là di quello che anche io già so di me e incrociando tutto ciò che ha imparato sul mio conto mi indicasse senza ombra di dubbio qualcosa che non potrei neanche immaginare di voler vedere, ma che mi piacerà tantissimo. Qualcosa che potrebbe aprirmi un mondo diverso.

Mentre mi dico che questi big data hanno decisamente dei limiti e magari sono pure sopravvalutati e dunque parto alla ricerca di qualche articolo appena uscito magari in Canada che mi aiuti a mettere a fuoco la mia teoria, con la coda dell’occhio vedo apparire nel catalogo Netflix Notthing Hill. Bene, l’ho visto circa 15 volte. Ma ormai sono le 2 e quindi mi posso addormentare in pace guardando Hugh Grant e il suo ciuffo che fu.

Alla faccia della scritta, che gli dà una decisa insufficienza, secondo i miei parametri: solo “93% compatibile”.

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