di Vitalba Azzollini

Di cosa parliamo quando parliamo di “burocrazia”? Il termine viene inteso in molte accezioni, tutte caratterizzate da una connotazione negativa, ed è per lo più usato come sinonimo di Pubblica amministrazione. Con la parola “burocrazia” – dal francese bureau (“ufficio”) connesso al greco krátos (“potere”) – si suole indicare quel complesso di regole che sanciscono adempimenti a carico dei privati, quando svolgano attività che richiedano un intervento di tipo amministrativo; ma anche quell’insieme di pubblici dipendenti della Pubblica amministrazione la cui opera è necessaria perché i privati stessi possano dare corso a tali attività.

In termini più concreti, burocrazia è tutto ciò che costringe gli individui a code agli sportelli, alla spola tra uffici dalle competenze non sempre chiare, alla compilazione di moduli ripetitivi. La situazione non è migliore per le imprese, le quali sono tenute ad assolvere a una rilevante mole di obblighi (di tipo commerciale, igienico-sanitario, di sicurezza sul lavoro, ambientale ecc.) non solo per avviare una qualunque attività economica, ma per poterla portare avanti. Eppure, la burocrazia non solo incide sulle vite dei cittadini e delle imprese residenti, ma rende l’Italia poco attrattiva per gli investitori stranieri, determinando effetti negativi sulla competitività del sistema economico nazionale. Ciò è attestato dalle classifiche internazionali che misurano la capacità di fare impresa in una serie di Stati. Secondo quanto risulta dall’ultimo Rapporto doing business della Banca Mondiale, in Italia per un permesso per costruire occorrono circa 227 giorni (contro i 96 della Germania), mentre il tempo necessario per risolvere per via giudiziale una controversia è di 1.120 giorni (il doppio della media dei Paesi Ocse, pari a 553 giorni).

L’Italia si trova così agli ultimi posti fra i Paesi dell’area Ue e dietro alcuni dei Paesi cosiddetti emergenti. Ciò risulta anche dall’ultimo Global competitiveness report del World economic forum  da cui emerge che i fattori maggiormente penalizzanti per l’Italia sono l’inefficienza della pubblica amministrazione, il livello di pressione fiscale nonché la complessità del sistema fiscale.

Quali sono le componenti che concorrono a nutrire la burocrazia, mostro dalle dimensioni elefantiache? Da un lato, quella legislativa, dall’altro quella umana. Quanto alla prima, le relazioni tra i cittadini e la p.a. sono regolate da un complesso di norme il più delle volte sovrabbondanti, complicate, affastellate e poco coerenti. Da esse scaturiscono procedure farraginose e adempimenti che hanno un costo rilevante: non si tratta delle tasse da pagare o dei bolli da apporre a determinati documenti, ma della spesa necessaria per porre in essere adempimenti che consentono di ottemperare ad altri obblighi.

Basta dare un valore monetario al tempo che serve, ad esempio, per compilare la dichiarazione dei redditi, produrre informazioni verso un ente pubblico, conservare documenti da esibire in caso di accertamenti (o anche solo orientarsi in tortuosi labirinti per individuare e capire dettati normativi), e si comprende meglio da quali spese, ulteriori rispetto ai carichi fiscali, siano gravati i privati. Ma la burocrazia prodotta dalla componente umana non è meno onerosa e, per molti versi, discende proprio da quella numerosità, mutevolezza e complicazione della regolamentazione di cui si è detto. La complessa congerie delle norme vigenti può rendere difficile per il pubblico dipendente individuare la regola giusta da applicare: ciò lo induce a preferire la cautela, amplificando una certa inclinazione a fare il minimo per non sbagliare e, quindi, per rischiare meno in termini di responsabilità, di reputazione, di esposizione a contenzioso.

Pertanto, egli tende a rimandare le decisioni, a chiedere molti pareri prima di adottarle, a restare inerte in assenza di specifiche direttive, a pretendere dai privati l’esibizione di documenti già in possesso di altre amministrazioni o la loro presentazione in doppio formato cartaceo e digitale.

La semplificazione normativa è, dunque, un’esigenza ineludibile, per alleggerire i cittadini dall’oneroso complesso di adempimenti a loro carico, per snellire l’attività della p.a. e per togliere alibi a quei dipendenti troppo inclini a non agire. Sfrondare l’ordinamento da regole inutili, obsolete e inefficaci, eliminando così anche pesanti oneri amministrativi, è oltremodo necessario altresì per sostenere l’economia nazionale. A fronte di imprese che delocalizzano, lo Stato cominci a semplificare veramente, anziché proporre rimedi che, gravando la spesa pubblica, sono fonte di altri mali. La stessa soluzione può servire per incentivare le imprese straniere a investire nel Paese. La semplificazione è l’unica riforma a costo zero. Purtroppo, è anche quella meno attuata.

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