“La mafia? Io non lo so più come fotografarla, perché non la vedo”. Letizia Battaglia, 83 anni, celebre (anche, ma non solo) per i suoi scatti di morti ammazzati nella Sicilia insanguinata da guerre ed esecuzioni quotidiane, eccellenti e no, ci regala la migliore immagine – o meglio, mancata immagine – di che cosa sia diventata oggi Cosa nostra, un quarto di secolo dopo la stagione delle stragi e l’arresto del sanguinario capo corleonese Totò Riina e a pochi mesi dalla sua dipartita. La mafia dopo le stragi, pubblicato da Melampo, è il titolo di una raccolta di brevi interventi dei maggiori esperti in materia, che tentano appunto di rispondere allo spaesamento che non è solo della grande fotografa. Tutti i brani sono tratti dal blog Mafie che coordina su Repubblica.it il giornalista Attilio Bolzoni, una vita passata sulle strade di Palermo e a palazzo di giustizia fin dai tempi di Falcone e Borsellino, che nel libro propone fra l’altro un non scontato totonomine per il dopo Riina. E, pagina dopo pagina, l’analisi si estende fuori dalla Sicilia, e naturalmente oltre il Sud e il confine nazionale, perché neanche ‘ndrangheta e camorra sono rimaste esattamente quelle che erano negli anni Novanta.

Allora , dove si può vedere la mafia oggi, mentre tacciono (anche se non del tutto) i kalashnikov? Nei “sistemi criminali” dove cooperano boss, politici, imprenditori, professionisti, secondo il magistrato Piergiorgio Morosini (che è stato fra l’altro gip del processo sulla trattativa stato-mafia). Nei consigli d’amministrazione, va giù diretto Claudio Fava, già vicepresidente della commissione parlamentare antimafia. Nelle banche, stringe il cronista di Repubblica Palermo Salvo Palazzolo. E’ quella “borghesia mafiosa” che a Palermo compra tutto, specialmente i locali pubblici, circostanzia il collega Francesco Viviano. E se ci allontaniamo dall’isola? Assume le sembianze di “Mafia capitale” (non avallate dai giudici di primo grado del processo omonimo), spiega Lirio Abbate dell’Espresso, dove criminali non affiliati alle organizzazioni “tradizionali” si alleano con politici e imprenditori corrotti.

Ancora più in generale, è la mafia mercatista che al Nord si salda agli animal spirit del capitalismo, dice il magistrato Roberto Scarpinato. Di più: la mafia è diventata “un metodo”, suggerisce il collega catanese Sebastiano Ardita. E lo scrittore Roberto Saviano azzecca la sintesi: “Non solo mafia si è imborghesita, ma la borghesia si è mafiosizzata”. Che poi è un ritorno alle origini: “Facinorosi della classe media”, così il senatore del Regno Leopoldo Franchetti definiva i mafiosi nel lontano 1876. Dunque non certo una novità se applicata alla storia secolare di Cosa nostra in Sicilia, un sapore diverso se la borghesia mafiosizzata la trasliamo, per esempio, a Roma o a Milano, per non dire in Germania o in Australia. E allora va da sé: quale partito è davvero interessato a combattere una mafia così, più di soldi che di piombo, per usare un’immagine cara al grande narcotrafficante Pablo Escobar? (a chiederselo nel libro, e a rispondersi “nessuno”, non è un attivista grillino, ma l’antico leader del Pci siciliano Emanuele Macaluso). Certo, scrive ancora Ardita, contro i mafiosi in colletto bianco si potranno fare più processi per concorso esterno… Ecco, appunto, peccato che mezzo Parlamento pensi che quel reato manco esista.

Ci sforziamo di fornire almeno un’indicazione a Letizia Battaglia su dove puntare di nuovo il suo obiettivo, ma siamo sicuri, prima di concentrarci sull’oggi, di aver compreso davvero che cosa è accaduto ieri? La prima parte di La mafia dopo le stragi ci riporta agli attentati contro Falcone e Borsellino, e ripropone i dubbi sui soggetti esterni che avrebbero contribuito a quelle azioni. Nessuna risposta netta, certo. Però inquieta che un osservatore competente e pacato come Piero Grasso non mostri alcun dubbio nello scrivere che per fermare i due magistrati, nel 1992, siano intervenute “anche forze diverse da cosa nostra”. La morale, per ieri e per oggi, la tira Bolzoni: “L’omertà di mafia è finita, quella di Stato no”.

LA FRASE – “La partita con gli interlocutori istituzionali non si è chiusa; si può ancora disporre di una forte solidità economica; c’è ancora qualche jolly da giocare facendo leva su ‘promesse non mantenute’, e su gravi segreti condivisi” (Alessandra Dino)

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