La disponibilità della Ue a concedere più tempo, rispetto all’usuale scadenza del 30 aprile, se l’iter di formazione del nuovo governo sarà più rapido del previsto. E un’intenzione condivisa da entrambe le forze politiche premiate alle urne, Lega e M5s: disinnescare gli aumenti Iva previsti dalle clausole di salvaguardia. Sono le uniche certezze sul Documento di economia e finanza, la cornice in cui si inserirà la prossima legge di Bilancio, che il governo come ogni anno dovrebbe approvare entro il 10 aprile e inviare a Bruxelles per la fine del mese. Resta da capire, però, se sarà il ministro dell’Economia uscente Pier Carlo Padoan a firmare la parte tendenziale a legislazione vigente. Quella, cioè, che fotografa l’andamento dei conti pubblici “a bocce ferme”. Molto dipenderà dai tempi di insediamento del nuovo esecutivo. I contenuti della parte programmatica, in cui vanno incorporati gli effetti delle politiche economiche prossime venture, sono ovviamente di competenza di chi siederà a Palazzo Chigi. Ma già ora tutti gli attori in campo scalpitano per lasciare la propria impronta. Mettendo nero su bianco almeno nelle risoluzioni al Def chi – il M5s – l’avvio soft del reddito di cittadinanza attraverso un rafforzamento di quello di inclusione (Rei) che è già operativo, chi – il Carroccio – il progetto della flat tax. Ma anche la revisione della legge Fornero, idea che mette d’accordo coalizione di centrodestra e pentastellati. Ecco le scadenze e gli scenari.

La Ue disposta ad aspettare oltre il 30 aprile – A febbraio Padoan aveva annunciato che i suoi uffici erano al lavoro sulla parte tendenziale del documento, quella a legislazione vigente. Da Bruxelles era arrivato il via libera, insieme alla disponibilità ad “attendere l’insediamento del nuovo governo per conoscere gli intendimenti programmatici”. Martedì scorso Giorgia Meloni (FdI) ha però lanciato un altolà a Gentiloni sostenendo che “il governo scaduto” non deve “azzardarsi, con un golpe di sapore sudamericano, a ipotecare il futuro degli italiani predisponendo il Def in questi giorni”. A quel punto fonti di Palazzo Chigi hanno smentito qualsiasi “golpe” spiegando che “il lavoro che sta facendo il Mef è di puro rendiconto a politiche invariate” e “se ci sarà una evoluzione rapida per la formazione di un nuovo governo, è assolutamente possibile che l’attuale esecutivo decida di non procedere neanche con questa proposta minimale e di lasciare al prossimo il compito di delineare il Def”. Mercoledì il vicepresidente dell’esecutivo Ue Valdis Dombrovskis ha ribadito che “normalmente” la scadenza di fine aprile per l’invio del programma di stabilità “è obbligatoria” e se un Paese è nel processo di formazione del governo “è consuetudine” inviarlo “a politiche invariate”. Ma la Commissione appare disposta ad attendere. Le consultazioni iniziano il 4 marzo e se il capo dello Stato trovasse rapidamente la quadra non è escluso che anche la parte tendenziale sia affidata ai nuovi entranti.

12,5 miliardi da trovare per evitare gli aumenti Iva. Più i soldi per la manovra correttiva – Le prime bozze interne circolate finora tra i ministeri sono appunto “a legislazione vigente”. Per cui incorporano le famigerate clausole di salvaguardia sui conti pubblici. In quei documenti, dunque, c’è scritto che l’aliquota Iva ridotta del 10% salirà nel 2019 all’11,5% e nel 2020 al 13%, mentre quella ordinaria del 22% passerà al 24,2% dal 2019, al 24,9% dal 2020 e al 25% dal 2021. Le forze politiche premiate dalle urne sono però concordi sul fatto che le clausole vanno disinnescate. Intenzione che andrà dettagliata nella parte programmatica del Def, spiegando dove si intende trovare i 12,5 miliardi necessari per evitare gli aumenti nel solo 2019. Il Documento non è una legge e non può introdurre nuove tasse né disporre tagli, ma deve comunque dare indicazioni sulle coperture. Da dettagliare nella prossima manovra. Vanno poi trovati i soldi per tutti gli altri interventi che chi andrà al governo vorrà mettere in campo. La flat tax per Lega, gli investimenti pubblici al Sud e più risorse per il Reddito di inclusione , che secondo il ministro del Lavoro in pectore dei 5 Stelle Pasquale Tridico è “molto simile al reddito di cittadinanza, è una base di partenza”. Giovedì Lorenzo Fioramonti, deputato M5S e potenziale ministro dello Sviluppo economico in un governo M5s, ha anche aperto alla possibilità di una risoluzione unitaria, a seconda di come proseguirà il dialogo tra le forze politiche alla luce del primo giro di consultazioni al Colle. Chi andrà al governo dovrà anche fare i conti con la probabile manovra correttiva da 3,5 miliardi che la Commissione Ue chiederà a maggio, quando arriverà il giudizio definitivo sulla legge di Bilancio per il 2018, non a caso rimandato a dopo il voto.

La tentazione di aumentare il deficit – Occorre quindi individuare possibili fonti di coperture. Nelle ultime settimane la tentazione di sforare il tetto del 3% fissato per il deficit/pil è rientrata, ma rimane quella di chiedere comunque altra “flessibilità“. Ovvero ritoccare all’insù quel rapporto, che stando all’ultima nota di Aggiornamento al Def quest’anno non dovrebbe superare l’1,6% e il prossimo dovrebbe fermarsi allo 0,9 per cento. Ma aumentare il deficit significa mancare ancora una volta l’obiettivo di ridurre il macigno del debito/pil, che nel 2017 è stimato al 131,5% ma potrebbe salire ulteriormente dopo che Eurostat avrà valutato se il contributo per la liquidazione di Veneto Banca e Popolare di Vicenza va aggiunto al conto. Il Movimento 5 Stelle ha anche anticipato che intende proseguire sulla strada della revisione della spesa aumentandone l’efficacia e disboscare la giungla delle tax expenditures, cioè le detrazioni fiscali. L’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli ha però chiarito che tagliare altri 30 miliardi è irrealistico. E il primo anno sarà difficile riuscire a tagliare le detrazioni per una cifra superiore ai 10 miliardi.

Le commissioni speciali e le risoluzioni con le priorità – Nel caso in cui il Def venga approvato dal governo uscente, ad esaminarlo – in assenza di una maggioranza che sostiene un esecutivo nel pieno delle funzioni – saranno le commissioni speciali in via di formazione alla Camera e al Senato. Le commissioni vanno deliberate dalla conferenza dei capigruppo, i partiti devono poi indicarne i componenti (40 a Montecitorio e 25 a Palazzo Madama) che devono rispettare la proporzionalità dei voti ottenuti dai rispettivi gruppi. In quella sede ogni forza potrà comunque presentare le proprie “risoluzioni”, in cui mettere in fila quelle che ritiene essere le priorità di politica economica.

Prima e terza parte del Def restano al nuovo esecutivo – Il Documento si compone di tre sezioni: il Programma di stabilità, con gli obiettivi da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico le “Analisi e tendenze della finanza pubblica” con le previsioni tendenziali del saldo di cassa del settore statale e le indicazioni sulle coperture e il Programma nazionale di riforma con l’indicazione dello stato di avanzamento delle riforme avviate, degli squilibri macroeconomici e dei fattori che incidono sulla competitività. In quest’ultima parte, che come la prima dovrà essere scritta dal prossimo governo, occorre rispondere alle ultime comunicazioni della Commissione sugli squilibri italiani. Chiarendo se Roma intende procedere sulla strada delle riforme già avviate o, come è prevedibile, voltare pagina e iniziare a mettere in campo alcune delle misure promesse in campagna elettorale.

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