Diverse ossa, tra cui un cranio, appartenenti a quattro o cinque cadaveri sono state ritrovate in un casolare abbandonato nei dintorni dell’Hotel House a Porto Recanati, nelle Marche. Tra queste, potrebbero esserci anche i resti di una 15enne bengalese la cui denuncia di scomparsa risale a otto anni fa. L’ipotesi è che si tratti di un cimitero degli “invisibili“, migranti irregolari i cui corpi non sono mai stati reclamati. A fare la macabra scoperta sono stati gli uomini della Guardia di Finanza durante un controllo di routine: i militari hanno notato in più punti fogliame bruciato di recente. Scostando le foglie è saltato fuori un femore umano.

Gli scavi, a una profondità di appena dieci centimetri, hanno consentito di scoprire altre ossa, per lo più frantumate. Ulteriori scavi, condotti dai vigili del fuoco, hanno fatto emergere dal terreno e da un vecchio pozzo ulteriori frammenti di ossa – tra cui anche un cranio – appartenenti a quattro o cinque cadaveri. I resti sono stati rinvenuti in diversi punti nei pressi di un casolare abbandonato vicino all’enorme grattacielo multietnico in cui vivono nel più totale degrado più di duemila persone.

Un “ghetto” più volte salito agli onori delle cronache per episodi di criminalità, per lo più legati allo spaccio. Al momento la polizia, coordinata dal pm di Macerata Rosanna Buccini, non esclude che quello che sta emergendo dagli scavi possa essere appunto una sorta di “cimitero”, utilizzato per nascondere cadaveri mai reclamati da nessuno. in un pozzo sono stati trovati anche una scarpa bianca, brandelli di foulard e di maglia. Elementi, questi, che portano gli inquirenti a sospettare che parte dei resti appartenga a Cameyi Mossamet, la 15enne bengalese scomparsa da Ancona la mattina del 29 maggio 2010, otto anni fa, quando non arrivò mai alla scuola media Marconi. All’epoca le tracce seguite dagli investigatori portarono all’Hotel House dove la stessa potrebbe essersi recata con un amico del cuore allora 19enne: la ragazzina non venne mai ritrovata e l’inchiesta non portò ad alcun esito. Sarà ora l’esame del Dna a poter dare risposte sull’identità di quei resti esaminati dai medici legali Roberto Scendoni e Mariano Cingolani.

Articolo Precedente

Castel Goffredo, il museo finanziato con le donazioni e gestito dai cittadini: “Custodi e guide sono volontari”

next
Articolo Successivo

Livorno, la testimonianza dell’autotrasportatore. Autorità portuale: “Serbatoio vuoto, forse l’aria compressa”

next