“Ricordate, se Dio fosse un Dj sarebbe su questa stazione, Radio Rock” recitava Dave (Nick Frost), uno dei personaggi principali di I Love Radio Rock, il film anglo-franco-tedesco del 2009 direttamente ispirato a uno dei capitoli più importanti della storia musicale del secolo passato, quello di Radio Caroline e – più in generale – dell’avvento delle radio private.

Il 28 marzo ricorreva il 54° anniversario di quella che fu una tra le primissime – e comunque la più leggendaria e coraggiosa – radio pirata della storia, quell’esperimento visionario e totalmente fuori dal consueto che a partire dal 28 marzo del 1964 sconvolse letteralmente i palinsesti radiofonici britannici: il rock, e più in generale la pop music, fecero prepotentemente ingresso nella vita di milioni e milioni di persone, scardinando abitudini d’ascolto, costumi e soprattutto stili di vita.

Fu Not fade away dei Rolling Stones ad aprire le danze e due le voci che ne diedero il lieto annuncio, quelle di Chris Moore e Simon Dee: “Questa è Radio Caroline sul 199, la tua stazione musicale per tutto il giorno”, un messaggio pre-registrato che – oltre a squarciare letteralmente l’etere – suonava come una vera e propria dichiarazione di guerra al conformismo governativo britannico.

La nuova musica giunta d’oltreoceano stava infatti trovando (nella decade dei Sessanta e special modo in Gran Bretagna) la sua vera e propria età dell’oro, quel flusso di nuovi fermenti e impulsi sonori a posteriori detto British Invasion, ma la BBC non sembrava essersene minimamente accorta: veramente irrisorio era lo spazio che quotidianamente il colosso della radiofonia pubblica britannica dedicava al mondo della musica rock, ai nuovi gruppi e dunque a quei milioni di giovani che in quelle musiche iniziavano a riconoscersi, ritrovarsi, identificarsi.

Urgeva un radicale cambiamento, o quantomeno questo era quello che pensava Ronan O’Rahilly, l’uomo d’affari irlandese che – grazie al sostegno economico di finanzieri come John Sheffield e sfruttando un vuoto normativo che consentiva di trasmettere dalle acque internazionali – a bordo della MV Caroline iniziò a trasmettere h24 la musica di gruppi come i Beatles, gli Who, i Beach Boys e i Rolling Stones.

E a nulla servirono le proteste del governo britannico che, in più di un’occasione, tentò di silenziare le trasmissioni di veri e propri pionieri della comunicazione come Emperor Rosko, il Dj americano che fin dal primo istante sposò il progetto Caroline, inondando le frequenze britanniche col suo stile di presentazione particolarmente rapido, innovativo, tale da trasformarlo in uno dei Dj più amati dal pubblico inglese: in soli pochi mesi arrivarono a essere ben sette milioni le persone che quotidianamente seguivano i pirati partiti dai mari internazionali alla conquista dell’etere britannico, ma non finisce qui.

Gli ascoltatori giunsero a un picco di ben venti milioni in diretta conseguenza del Marine Offences Act, la legge entrata in vigore il 15 agosto 1967 con lo scopo (fra gli altri) di far chiudere le radio pirata: dichiarando illegali le stazioni radio offshore gestite o assistite da persone soggette alla legge del Regno Unito, il provvedimento ebbe infatti come effetto immediato quello di far chiudere molte delle dirette concorrenti di Radio Caroline che, invece e seppure a fasi alterne, continuò imperterrita a trasmettere.

Oltre alle violazioni legislative, ciò che risultava alquanto evidente era poi la totale mancanza nella ripartizione dei diritti d’autore che, di fatto, non venivano corrisposti a chi di dovere e cioè a tutte quelle band i cui brani animavano oramai le lunghe giornate inglesi: poco male però, specie in considerazione del fatto che fu proprio grazie a Radio Caroline e a tutte le successive radio pirata se la musica di quei gruppi veniva conosciuta e, di conseguenza, venduta in quantità decisamente maggiori.

Tra alti e bassi Radio Caroline è giunta fino a oggi, ottenendo infine nel 2017 la concessione per trasmettere finalmente in AM e divenire così una radio comunitaria.

Lunga vita Radio Caroline dunque, lunga vita a tutte le grandi visioni.

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