Dopo l’elezione dei presidenti delle Camere, le temperature tra Lega e M5s diventano più fredde, quasi gelide. Anzi, secondo Matteo Salvini, la probabilità di tornare alle urne a oggi sono “al 50 per cento“. Il segretario del Carroccio, intervistato dal Corriere della Sera, garantisce che “non è quello per cui io lavoro e non faccio di certo il calcolo che nelle urne incasserei di più. Ma si sappia che se mi rendessi conto che non c’è una via di uscita, che nessuno è disposto a fare passi indietro, bisognerebbe tornare a chiedere agli italiani”. La linea è ancora quella espressa a Porta a Porta: il centrodestra è pronto, merita di ricevere l’incarico dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ha tutta la volontà di discutere di alcuni punti di programma per estenderlo ad altri interlocutori. Lavoro, tasse, sicurezza, li mette in fila. Nessuna “smania da ultima spiaggia”, ma al Quirinale Salvini dirà che “la Lega non è disponibile a governoni o governissimi. E non andrò a dire ‘o io o il diluvio’, come invece ha fatto Luigi Di Maio“. Non fa nomi: “Non ne ho fatti per le presidenze delle Camere, non ne faccio per i ministeri, men che meno ne farei per il presidente del Consiglio. Certo: noi abbiamo scritto nel simbolo Salvini premier, e su questo abbiamo preso 6 milioni di voti” ma “una cosa è certa: io non penso a figure esterne o tecnici, gli italiani hanno già dato. Io credo che il candidato premier debba essere indicato dal centrodestra, per il semplice fatto che è la coalizione che ha vinto”.

Su Di Maio il giudizio positivo nelle fasi di collaborazione resta. “Ma anche per questo – rileva al Corriere – mi sono stupito di un atteggiamento del tipo ‘o comandiamo noi o niente'”. E l’esclusione di Forza Italia non esiste perché “se avessimo applicato questo tipo di atteggiamento, oggi non avremmo né il presidente della Camera né quello del Senato”. E l’altra ipotesi, cioè che il M5s alla fine si rivolga verso il Pd? “Mi stupirei dei Cinquestelle – risponde Salvini – A differenza di altri, soprattutto a sinistra, io sono convinto che gli italiani quando votano abbiano ragione. Il Pd ha perso, sarebbe davvero bizzarro che una forza che si vuole rivoluzionaria si facesse stampellare dagli sconfitti. Se Di Maio vuole governare col Pd, auguri”.

L’ipotesi non è peregrina come già emerso nei giorni scorsi e come spiega anche il senatore Gianluigi Paragone: “Non ce l’ha ordinato il medico che dobbiamo fare un’alleanza con la Lega, si possono tentare anche delle altre alleanze – dice ad Agorà, su Rai3 – Il Pd? Se ha capito la lezione e vuole tornare a una declinazione di sinistra o di centrosinistra, forse converrebbe anche al Pd cominciare a dialogare seriamente con il Movimento 5 Stelle”.

D’altra parte, però, il Pd resta fermo sulla posizione decretata due settimane fa in direzione: “Di Maio e Salvini si stanno scontrando sulle poltrone. Se i Cinquestelle si rivolgeranno a noi – dice il nuovo capogruppo al Senato, Andrea Marcucci – la risposta è ‘avete vinto, tocca a voi!’. “Ho l’impressione – continua Marcucci – che non si siano letti i programmi elettorali. Il programma elettorale del M5S sostanzialmente su tutti i punti dice questioni e pone temi opposti alle nostre istanze e alle nostre battaglie”. Il renziano spiega che “ascoltiamo tutti ma c’è una delibera molto chiara del Partito democratico. E cioè che le forze che hanno vinto si mettano d’accordo. Secondo me alla fine la risolveranno e governeranno. Se Forza Italia sarà parte del governo? E’ un problemino che forse non avevano previsto, né gli uni né gli altri”.

Una situazione in cui il tasso di incertezza è tornato a salire in un quadro di tutti contro tutti. Oggi una ricostruzione della Stampa spiega che il capo dello Stato Mattarella potrebbe decidere un secondo giro di consultazioni senza dare incarichi dopo il primo, che inizierà il 3 aprile. Il presidente non vuole dare incarichi “giusto per provarci” soprattutto con la consapevolezza che non c’è una maggioranza parlamentare. La prima mossa, comunque, è ancora l’attesa, senza la pretesa che i partiti diano subito risposte e con la speranza che qualcosa si “scongeli”. Resta, poi come extrema ratio, dopo gli eventuali fallimenti dei “vincitori”, la carta del “governo del presidente”

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