La decisione del Tribunale Regionale Federale di Porto Alegre conferma quanto deciso dalla Corte d’Appello: Luis Inacio Lula Da Silva condannato a 12 anni e un mese di carcere per i delitti di corruzione passiva e riciclaggio. Accuse dalle quali si è sempre difeso, parlando di “sentenza politica” alla lettura del verdetto. E così per l’ex presidente brasiliano sfuma definitivamente la possibilità di una rielezione. Il Tribunale brasiliano oggi ha definitivamente respinto i ricorsi presentati dagli avvocati di Lula, che tuttavia non sarà arrestato finché il Tribunale Supremo Federale (Tfr) non deciderà sulla richiesta di habeas corpus presentata dai legali dell’ex presidente. L’alta corte si riunirà il prossimo 4 aprile per prendere una decisione definitiva al riguardo.

Le tappe del processo – Lo scorso 24 gennaio, il Trf ha confermato in seconda istanza la sentenza emessa in primo grado dal giudice Sergio Moro, il magistrato simbolo delle inchieste anticorruzione in Brasile, aggravandone però la pena, che è passata così dai 9 ai 12 anni di carcere. I legali dell’ex presidente avevano presentato un ricorso contro questa nuova sentenza, che è stata respinto oggi, in una decisione unanime dei tre magistrati di Porto Alegre. Parallelamente, però, giovedì scorso il Stf ha deciso di accettare la presentazione di una richiesta di habeas corpus presentata dagli avvocati di Lula, dopo un lungo dibattito, fissando per il prossimo 4 aprile l’udienza in cui dovrà esprimersi sul contenuto della richiesta. Nel frattempo, l’alta corte ha emesso una cautelare che blocca il possibile arresto dell’ex presidente finché non sarà presa una decisione sulla sua richiesta di habeas corpus.

L’inchiesta – Ruota attorno alla proprietà di un attico di 216 metri quadri a Guaruja, una delle migliori località balneari sul litorale paulista. L’immobile, secondo l’accusa, è stato donato dal colosso delle costruzioni Oas all’ex presidente in cambio di importanti commesse con la compagnia petrolifera statale Petrobras. Ad incastrare Lula è stata la confessione dell’ex presidente della Oas, Leo Pinheiro, raccolta in carcere in cambio di un sensibile sconto di pena dal giudice Sergio Moro, titolare dell’inchiesta ‘Lava Jato’, la ‘Mani Pulite’ brasiliana, che ha fatto scattare le manette ai polsi di decine di politici, manager di importanti gruppi pubblici e privati e faccendieri. La condanna di Lula era arrivata in un momento molto delicato per il Brasile. Il presidente Michel Temer, subentrato a Dilma Rousseff dopo l’impeachment dell’agosto del 2016, era in gravi difficoltà sia per la sua bassissima popolarità che per il coinvolgimento in inchieste giudiziarie. La crisi del governo Temer e le inchieste giudiziarie avevano contribuito a rilanciare Lula, ancora molto amato in Brasile, come il candidato favorito per le presidenziali. I suoi otto anni da presidente sono quelli che milioni di brasiliani ricordano come la stagione del grande boom economico, della stabilita’ politica e della maggiore equità distributiva.

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