Dopo il mio ultimo post, vorrei ritornare sull’articolo di Beppe Grillo sugli sprechi e le inutilità in sanità.

La sua tesi di fondo è: parte della crescita della spesa sanitaria non deriva direttamente dalla crescita dei bisogni di cura della gente ma da fattori esterni quali scelte cliniche inappropriate da parte dei medici, induzione dei consumi da parte delle industrie farmaceutiche, immissione sul mercato di farmaci che successivamente all’esame empirico si rivelano di scarsa efficacia terapeutica e tante altre cose.

Questa tesi ci dice che il sistema pubblico se fosse bonificato dalle diseconomie sarebbe più che sostenibile; e poi che in nome della sostenibilità non c’è bisogno di privatizzare niente e che la privatizzazione oltre ad essere una grande scemenza sociale è solo una grande speculazione finanziaria. La privatizzazione della sanità, per sua natura, è destinata ad esasperare la tesi di Grillo, cioè a rendere illimitato il consumo di sanità per rendere illimitato il business sulla sanità.

Come è noto, negli Usa il mercato per garantirsi un minimo di sostenibilità è costretto esso per primo a porre limiti alla crescita dei consumi sanitari ed a auto-moderarsi in mille modi (less is more e choosing wisely sono due di questi). Cioè a moderare la sua bulimia.

L’articolo di Grillo pone al centro di tutto il gioco sanitario la questione dell’evidenza scientifica almeno in due sensi:
– molte scelte cliniche sono fatte dai medici senza il sostegno delle evidenze scientifiche di supporto (Grillo cita il dato che solo il 15% dei medici segue le evidenze scientifiche)
– molti farmaci autorizzati alla commercializzazione nonostante le evidenze scientifiche sono poco efficaci o addirittura inutili (Grillo cita molte fonti autorevoli)

L’evidenza scientifica è, da un punto di vista epistemico, una questione molto complicata. Essa, detta con parole semplici, è prima di tutto un’astrazione cioè un dato statistico selezionato da un mucchio di dati che pur presi nel loro insieme sono, per definizione, al di sotto di quelli che appartengono alla realtà vera che in genere è di gran lunga più complessa. Quindi è uno standard. Essendo un’astrazione l’evidenza scientifica, quella seria, è dal punto di vista epistemico una verità probabile di cui ci serviamo, anche se, all’esame dei malati concreti a volte funziona e a volte no. Le fallacie delle evidenze scientifiche fanno parte del gioco e purtroppo non sono eliminabili.

A complicarci la vita vi sono evidenze scientifiche meno serie e sono quelle che sono condizionate dagli interessi economici che a loro volta condizionano le società medico scientifiche e le istituzioni pubbliche di controllo. Sono costoro che debbono validare sulla base delle evidenze scientifiche, non solo l’immissione in commercio dei farmaci, ma la modalità del loro uso, cioè i loro limiti e le loro possibilità terapeutiche i criteri di somministrazione, le linee guida e gli algoritmi e i protocolli terapeutici di riferimento.

Dove è il problema? Se l’evidenza scientifica è, per qualche ragione, taroccata ab initio, a catena, tutto quello che essa autorizza, rischia, a sua volta, di essere taroccato fino a taroccare i consumi.

L’articolo di Grillo, pone quindi, oltre la questione affrontata nel mio precedente post (qualificazione dei comportamenti professionali dei medici), anche quella della qualificazione e del controllo delle evidenze scientifiche, cioè la moralizzazione di quelle istituzioni che, per conto della scienza, le devono garantire cioè pone il problema politico enorme dell’autonomia e dell’indipendenza della scienza dagli interessi economici.

Quindi gli sprechi e le inutilità dei consumi sanitari, denunciati da Grillo, in parte si risolvono responsabilizzando i medici ma in gran parte moralizzando la scienza. Questo chiama in causa due grandi questioni: la sperimentazione clinica e le autorità pubbliche internazionali e nazionali che autorizzano la commercializzazione dei farmaci.

Come si fa a moralizzare la scienza? Rendendola sempre più autonoma dagli interessi economici quindi rompendo i legami promiscui che pur esistono nelle istituzioni pubbliche, nei comitati etici, nei centri di ricerca, nelle società scientifiche, tra di essa e gli interessi speculativi. Un esempio di promiscuità è la legge che ha reso obbligatori i vaccini anche per malattie non contagiose. Se ci fosse stata una vera autonomia della scienza alcuni vaccini sarebbero stati obbligatori e altri sarebbero stati sottoposti al consenso informato. Mancando questa autonomia tutto diventa coercitivo ma solo perché l’obiettivo formale è profilattico ma quello sostanziale è economico vale a dire l’estensione della nostra legge all’intera Europa. Il vero mercato per l’industria dei vaccini è sovranazionale non nazionale.

Un altro esempio è la sperimentazione clinica. Il recente decreto Lorenzin che l’ha ridefinita e che avrebbe dovuto adottare come adempimento il regolamento europeo, nonostante la furiosa battaglia parlamentare fatta dai deputati del Movimento 5 stelle, che ha permesso comunque di migliorare anche di molto la norma, si è guardato bene come dice il regolamento europeo dal distinguere in molti gangli del sistema di autorizzazione e di controllo, la scienza dal resto.

Lo spreco, lo dice anche Grillo, non è un dato contabile ma la punta dell’iceberg di un sistema che bisogna cambiare. Il problema è come riformare l’iceberg e quindi quale pensiero riformatore guiderà le politiche sanitarie del futuro.

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