Le chiavi per scardinare il cancro sono nascoste nel nostro stesso organismo, tra le pieghe delle sue difese immunitarie. Sono sempre state lì, inaccessibili e spesso sconosciute. Negli ultimi anni, però, gli scienziati stanno imparando a individuarle e a decifrarle. È una delle frontiere della medicina moderna: agire non solo direttamente sul tumore o sulle sue cause, ma sul sistema immunitario, addestrandolo e potenziandolo con interventi mirati e, il più possibile, personalizzati. Gli esperti definiscono immunoterapia questa innovativa strategia. Inserita di recente dalla rivista Science nell’annuale top ten dei progressi compiuti dalla scienza, “l’immunoterapia sta già cambiando la storia naturale di molti tipi di tumore e caratterizzerà sempre di più la lotta al cancro nel Terzo millennio. Coronando, in questo modo, il sogno dei padri della medicina di sconfiggere il cancro utilizzando le nostre difese naturali”. A parlare è uno degli scienziati più impegnati in questa battaglia: lo studioso italiano più citato all’estero, Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’istituto clinico Humanitas di Milano e docente di Humanitas University.

IlFattoquotidiano.it lo ha raggiunto nel suo studio milanese all’indomani della pubblicazione del suo ultimo libro, “Bersaglio mobile” edito da Mondadori, in cui l’immunologo di fama internazionale spiega perché ci si ammala di cancro, quali sono i progressi compiuti dalla ricerca contro i tumori e perché è così importante arruolare in questa lotta il sistema immunitario, “impegnato a sorvegliare di continuo il nostro organismo, identificando ed eliminando le cellule tumorali che via via si formano, e senza il quale – spiega Mantovani – nel corso della nostra vita svilupperemmo molti più tumori”.

Professore, qual è l’obiettivo del libro?
È, innanzitutto, quello di condividere le mie conoscenze su un argomento di così ampio interesse. Ma s’intreccia anche con un’ambiziosa speranza: fornire al lettore gli strumenti per immunizzarsi nei confronti di tutte quelle fake news che riguardano cure o tecniche di prevenzione del cancro tanto miracolose quanto prive di ogni fondamento scientifico. E che, travestite da false speranze, creano solo amare illusioni.

Partiamo dai numeri: quanti sono i casi di cancro in Italia?
Secondo i dati dell’associazione registri tumori e dell’associazione oncologi medici, nel nostro Paese circa 3 milioni di persone hanno avuto o hanno un tumore. Ogni giorno in Italia si registrano circa 1.000 nuovi casi: 250 guariscono, il 60% sopravvive a 5 anni dalla diagnosi, mentre sono circa 500 i morti di cancro al giorno.

Quali sono i nostri standard rispetto agli altri Paesi?
I dati mostrano che in Italia per tutti i tipi di tumore la sopravvivenza è superiore alla media europea. E, se consideriamo solo i Paesi del Nord Europa, con standard sanitari confrontabili al nostro e maggiori investimenti in sanità, la sopravvivenza in Italia è la stessa, e in qualche caso superiore. Secondo me, le ragioni di questi dati sono principalmente due: la presenza di un servizio sanitario nazionale e l’eccellenza della ricerca sul cancro del nostro Paese. Fin qui le note positive. Ma c’è anche un risvolto della medaglia, un lato oscuro.

Quale?
Ci sono profonde differenze tra Nord e Sud. Mi baso sui dati: indicano che al Sud ci sono meno casi di cancro, per fattori ambientali, un migliore stile di vita e un particolare regime alimentare. Ma la sopravvivenza è maggiore al Nord. La ragione principale è che, nonostante lo Stato trasferisca le risorse per gli screening allo stesso modo ovunque, al Sud si fanno meno prevenzione e meno diagnosi precoce. Aspetti che mi preoccupano molto.

Nel suo libro parla di tre fasi chiave nella lotta tra immunità e tumore
Esatto. La prima vede il predominio netto del sistema immunitario, grazie ad esempio agli strateghi delle nostre difese (i linfociti T); alle parole dell’immunità (citochine e interferoni); ai nostri ‘poliziotti’, i macrofagi, e ai killer professionisti del nostro esercito naturale, le cellule nk (natural killer). Tutti insieme eliminano le cellule cancerose non appena si formano. Il cancro, però, è caratterizzato da instabilità genetica: a poco a poco, quindi, e questa è la seconda fase, inizia a prendere le misure alle nostre difese, sviluppando varianti più forti, capaci di fronteggiare il sistema immunitario con equilibrio. Il nostro apparato di difesa, tuttavia, in questa fase riesce ancora a tenere sotto controllo il tumore. Ma le cose possono anche cambiare. Nella terza fase della guerra, infatti, è il cancro a prendere il sopravvento, sfuggendo completamente al controllo del sistema immunitario. In che modo? Generando varianti di cellule ancora più aggressive e mettendo in atto strategie di deviazione.

Quanto è importante, quindi, arruolare il sistema immunitario contro il cancro?
L’immunoterapia rientra a pieno titolo nell’arsenale delle armi a nostra disposizione contro il cancro, è la strategia su cui puntare nel nuovo millennio, insieme allo studio del Dna, alla genomica. Conoscere sempre più e meglio la macchina straordinaria delle nostre difese ci permetterà d’imparare a pilotarla al meglio contro il cancro.

Per pilotarla avete imparato che innanzitutto è importante toglierle i freni
Abbiamo cominciato a farlo e abbiamo dimostrato che eliminare i freni, che noi in gergo chiamiamo check-point, è efficace in tanti tumori, come il melanoma o il tumore al polmone e tanti altri. Alcune cellule dell’immunità, in particolare i linfociti T e i macrofagi, infatti, non solo non svolgono il proprio ruolo di difesa, ma al contrario aiutano lo sviluppo e la diffusione del cancro. I macrofagi, ad esempio, come i poliziotti corrotti, non arrestano i malviventi, le cellule tumorali, ma li aiutano coprendone le malefatte. E i linfociti T, che dovrebbero comandare le nostre difese, sono come bloccati, disorientati e narcotizzati dal cancro e dai macrofagi, che attivano una serie di freni per fermarli. È come se una parte del sistema immunitario decidesse a un certo punto di passare al nemico. È interessante notare, infatti, come più alto è il numero dei macrofagi presenti nei tumori, peggiore è l’andamento clinico della malattia.

Cosa sappiamo di questi freni?
Abbiamo ad esempio capito che, in genere, questi freni funzionano meglio nei tumori geneticamente instabili: è il motivo per cui facciamo fatica a curarli. In pratica, la cellula tumorale cambia e diventa resistente. Per questo, definisco il tumore un bersaglio mobile.
Proprio i numerosi freni della risposta immunitaria costituiscono una sfida per il trasferimento alla clinica di quello che abbiamo imparato sul sistema immunitario. Grazie ai progressi della ricerca, infatti, abbiamo capito che questa instabilità genetica può essere un tallone di Achille per il tumore, perché genera nuove molecole che possono essere riconosciute dal sistema immunitario.

Quanti freni conosciamo?
È una bella domanda. In tutto possiamo dire che sono circa una decina, alcuni in fase di sperimentazione clinica, altri ancora in fase preclinica. Il nostro gruppo di ricerca ha, ad esempio, scoperto un nuovo gene di uno di questi freni. Lo studio è stato pubblicato nel 2017, e nei prossimi anni sono certo che in tutto il mondo verranno individuati nuovi freni da togliere. E, tuttavia, non possiamo ancora essere soddisfatti dei progressi ottenuti.

Per quali ragioni?
Purtroppo, la maggioranza dei pazienti non risponde a queste terapie: solo 1 su 4 o 1 su 5 ne trae beneficio. Abbiamo bisogno di capire il perché, e di mettere a punto strategie nuove per affrontare con successo anche quella quota di tumori in cui, apparentemente, togliere un tipo particolare di freno non serve. Un altro motivo d’insoddisfazione è la questione della sostenibilità dei costi.

Qual è il pericolo?
Quello di non riuscire a garantire l’accesso alle terapie immunologiche a tutti coloro che ne hanno bisogno. Queste cure sono, infatti, estremamente costose. È fondamentale perciò, per dare a tutti le stesse chance di cura, imparare a non sprecare risorse in altri settori della spesa sanitaria. Su questo tema c’è grande preoccupazione, condivisa su scala internazionale. Entro poco più di 10 anni, infatti, i Paesi più poveri dovranno sopportare il carico maggiore, il 70% dei casi di cancro, con una notevole differenza di aspettative di vita tra i Paesi occidentali e quelli in via di sviluppo.

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