Un numero verde (800 905 570) per orientarsi nel viaggio tra le carte della burocrazia, dopo quello compiuto per arrivare fino in Italia. Chi chiama, i migranti, sono spesso coloro che sono rimasti fuori dalle maglie dell’accoglienza, diventando invisibili. E così, dai loro racconti, si scoprono quali sono i punti deboli del sistema, tra difficoltà e regole che è lo Stato stesso a non rispettare. Come nel caso dei richiedenti asilo che fanno domanda per il ricongiungimento familiare e se la vedono negata per la mancanza di un certificato di residenza che in realtà non dovrebbe essere necessario. Oppure dei migranti tunisini che, per effetto di un’intesa tra l’Italia e il loro Paese, venivano forzatamente rimpatriati senza poter nemmeno fare richiesta di asilo. Ma ci sono anche le storie di coloro che si vedono negato lo status di rifugiato dalle Commissioni territoriali, salvo poi averlo riconosciuto dal Tribunale ordinario. Oppure quelle di chi viene rispedito in Italia, per esempio dalla Francia, come un pacco postale senza una precisa destinazione.

Da più di dieci anni l’ufficio Immigrazione e Asilo dell’Arci mette a disposizione dei migranti una linea telefonica gratuita, un numero verde appunto, a cui rivolgersi per avere assistenza e consulenza legale, mediazione sociolinguistica e accompagnamento ai percorsi di integrazione. Una scommessa vinta che nel 2017 ha portato alla collaborazione con l’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), grazie al quale l’Arci ha realizzato una mappa online multilingue dei servizi dedicati ai richiedenti asilo e rifugiati: JumaMap. Un’esperienza raccolta e raccontata nel report 2017, i cui dati parlano di più di 3mila migranti che solo lo scorso anno si sono rivolti al numero verde e 277 di loro che lo hanno fatto per la prima volta (nel 2016 erano stati 459). La diminuzione delle nuove utenze rispetto al 2016 mette in luce già un primo problema riscontrato: l’allungamento degli iter burocratici.

Nell’ultimo anno a chiamare sono stati soprattutto nigeriani (25%), seguiti da migranti provenienti da Costa d’Avorio, Mali e Somalia. Il 30% delle volte si è trattato di donne. Inoltre, un’alta percentuale di chi ha digitato il numero verde era già in grado di esprimersi in lingua italiana: uno su tre. Un dato che racconta di una seconda evidenza: il perdurare delle difficoltà e il bisogno di supporto anche di persone presenti già da molto tempo in Italia. Ad aiutarli ci sono 35 mediatori linguistici che parlano 36 tra lingue e dialetti, ma anche degli avvocati di riferimento che possono intervenire per offrire assistenza e consulenza legale. In casi di particolari vulnerabilità, gli operatori accompagnano il migrante per tutto l’iter, sempre attraverso il contatto telefonico.

Il principale scopo del servizio offerto da Arci è infatti proprio quello di sostenere, promuovere e garantire il lavoro di rete tra gli enti di tutela, gli enti locali e la pubblica amministrazione. Un obiettivo che è anche al centro del progetto JumaMap appunto: mettere in contatto tutti gli attori del sistema di accoglienza, tramite internet. Ma il lavoro degli operatori del numero verde permette anche di raccogliere segnalazioni di disfunzioni e mancato accesso ai diritti da parte dei richiedenti asilo: una panoramica sulle condizioni della nostra accoglienza e sull’applicazione delle norme europee e nazionali in materia d’asilo.

E il report porta alla luce molte delle criticità del sistema italiano. A partire, per esempio, dai numerosi casi di richiedenti asilo che hanno avuto difficoltà nella procedura di rinnovo del permesso di soggiorno per il mancato possesso del certificato di residenza. Come spiega il report di Arci, la Questura che in questa situazione nega il rinnovo del permesso di soggiorno al richiedente asilo, trasgredisce di fatto alla circolare del ministero degli Interni del maggio 2015, nella quale si chiede di garantire il diritto dei richiedenti e titolari di protezione internazionale all’iscrizione anagrafica, anche in assenza di un alloggio effettivo.

Il numero verde ha seguito anche due casi di negato ricongiungimento familiare da parte della Prefettura di Roma, motivati di nuovo dalla mancanza di un certificato di residenza. Pure in questa seconda situazione, Arci sottolinea come non sia stato applicato il Testo unico dell’immigrazione che, per i rifugiati, all’articolo 29 bis prevede che “essi non devono dimostrare la disponibilità di un alloggio e di una idoneità abitativa” ai fini del ricongiungimento con i propri familiari.

Esempi in cui le regole vengono disattese quindi. Ma ce ne sono anche altri in cui invece vengono istituite prassi che violano principi internazionali. Grazie alle chiamate al numero verde dei migranti tunisini che venivano trattenuti senza convalida nel centro Hotspot di Lampedusa e nel Cpr (Centro di permanenza per il rimpatrio) di Caltanissetta è stato possibile ricostruire la procedura illegittima scaturita dall’Intesa tra i ministeri degli Esteri di Italia e Tunisia del febbraio 2017. Tutti i lunedì e i giovedì dai 20 ai 40 migranti tunisini venivano rimpatriati senza aver dato loro la possibilità di accedere alla procedura d’asilo, quindi in violazione al principio del diritto d’asilo e al principio di non respingimento.

L’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo a un risarcimento di 30mila euro proprio per le condizioni di detenzione dei migranti tunisini, definite “profondamente degradanti della dignità umana”: stanze sovraffollate, persone costrette a dormire a terra, nessuna porta a separare i bagni e le docce dai dormitori, carenza di acqua. Dopo il comunicato stampa di Arci del 2 novembre scorso, la prassi è stata interrotta e sono iniziati i trasferimenti da Lampedusa ad Agrigento. Però, segnala ancora il report raccontando le esperienze di due migranti, le persone sono poi state abbandonate al loro destino, senza alcuna informazione o orientamento ai servizi a cui rivolgersi sul territorio.

Un limbo in cui si ritrovano anche le persone a cui viene negato il riconoscimento dello status di rifugiato dalla Commissione territoriale. Nel corso del 2017, dei ricorsi in primo grado seguiti dal numero verde Arci, 51 sono arrivati a conclusione e 41 di questi hanno avuto esito positivo. Il Tribunale ordinario ha riconosciuto quindi uno status di protezione che invece prima era stato negato. I casi di rigetto peraltro sono spesso dovuti in realtà alla mancata reperibilità dei ricorrenti. I lunghi tempi di attesa spingono infatti il migrante ad abbandonare la procedura in Italia, nel tentativo di raggiungere altri paesi europei. L’attesa è spesso troppo lunga, come sottolinea il report, e va così a inficiare le politiche di integrazione sociale e lavorative messe in atto dai progetti di accoglienza. Dei 36 ricorsi portati avanti dal numero verde nell’ultimo anno, solo due sono arrivati a conclusione entro il 31 dicembre 2017. Le persone sono quindi lasciate in un limbo amministrativo che, di fatto, impedisce loro di essere autonome.

La sensazione di abbandono è la stessa che provano anche coloro che vengono rimandati in Italia dagli altri Paesi Ue, secondo il regolamento di Dublino. Il numero verde Arci è stato interessato in particolare dai rinvii effettuati dalla Francia verso l’Italia, dopo l’inasprimento dei controlli alle frontiere interne transalpine e di pari passo l’ordine del ministero dell’Interno francese ai prefetti di intensificare i rinvii. Nella maggior parte dei casi, i migranti sono stati trasferiti in aeroporti secondari come quello di Venezia, Linate o Firenze, senza preoccuparsi di fornire loro un aiuto circa la richiesta di asilo o un luogo dove trovare alloggio. La conseguenza è che anche queste persone, come la maggior parte di quello che si rivolgono al numero verde, si sono ritrovate abbandonate a se stesse. Trattate come invisibili.

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